Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente

I limiti del potere di autotutela della PA

di Mario Enrico Rossi Barattini

L’annullamento in autotutela di un titolo edilizio non può avere il solo obiettivo di ripristinare la legalità dell’azione amministrativa, ma deve altresì tenere conto della comparazione tra l’interesse pubblico concreto e i confliggenti interessi privati ormai consolidati. E’ quanto stabilisce la sentenza n. 673 emessa dal TAR Napoli l’11 febbraio 2020, che analizza l’annosa questione delle “regole” attraverso cui l’azione amministrativa può espletare il potere di autotutela ai sensi dell’art. 21 nonies della Legge n. 241/1990 (i.e., la legge sul procedimento amministrativo).

L’autotutela. Più in generale, il concetto di autotutela nel diritto amministrativo fa riferimento al potere riconosciuto alla pubblica amministrazione di annullare e revocare i provvedimenti amministrativi già adottati. Nel dettaglio, l’art. 21 nonies, comma 1, della norma in epigrafe, stabilisce che “il provvedimento amministrativo illegittimo (…) può essere annullato d’ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell’adozione (…) tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”.

Fa eccezione il caso in cui i provvedimenti amministrativi siano stati conseguiti sulla base di false rappresentazioni, in tal caso, ai sensi dell’art. 21 nonies, comma 2 bis, “possono essere annullati dall’amministrazione anche dopo la scadenza del termine di diciotto mesi”.

  • Dunque, in primis l’annullabilità in autotutela di un provvedimento amministrativo richiede la contestuale esistenza di due presupposti: da un lato l’illegittimità dell’atto (il quale, ai sensi dell’art. 21 octies della medesima legge, si realizza mediante la violazione di legge, l’eccesso di potere e l’incompetenza) e dell’altro lato la sussistenza di ragioni di interesse pubblico connesse alla rimozione del provvedimento in essere.
  • In secundis, poi, tali presupposti devono essere contemperati dagli interessi (e i vantaggi) che il destinatario (o i controinteressati) del provvedimento abbiano maturato nelle more, i quali fungono da contraltare alle ragioni di interesse pubblico.
  • Inoltre, l’esercizio del potere di autotutela deve avvenire entro il termine di diciotto mesi dal momento dell’adozione del provvedimento amministrativo.

Al riguardo, sottolineiamo che l’istituto in disamina ha subito un profondo rinnovamento tramite la Legge n. 124/2015 (i.e., la cd. Riforma Madia), la quale ha introdotto il predetto termine oltre il quale l’annullamento non può più cristallizzarsi: dunque, garantire la certezza dei rapporti giuridici tra il privato e la pubblica amministrazione, impedendo così che i vantaggi consolidati dei primi possano essere esposti sine die all’esercizio dell’autotutela della seconda (come invece avveniva prima della novella del 2015).

  • Come succitato, fa eccezione il caso in cui i provvedimenti amministrativi siano frutto di false rappresentazioni da parte del privato, in tal caso possono essere annullati dalla P.A. anche dopo la scadenza del detto termine di diciotto mesi.

La sentenza. Fatte queste doverose premesse sull’istituto dell’autotutela ex art. 21 nonies della Legge n. 241/1990, con la sentenza n. 673 dell’11 febbraio 2020 il TAR Napoli si è soffermato su una vertenza sorta tra la ricorrente società titolare di un complesso immobiliare e la relativa resistente Amministrazione Comunale.

Nel dettaglio, in riferimento a detto complesso immobiliare il Comune aveva rilasciato in favore di parte attrice un permesso di costruire nel giugno del 2015, a seguito del quale una SCIA in variante era stata protocollata due anni dopo nel luglio 2017.

Ciononostante, nel corso del luglio 2018 il Sindaco, individuando una serie di anomalie nelle pratiche edilizie presentate dalla società, annullava in autotutela detti titoli abilitativi e ingiungeva alla ricorrente l’obbligo di ripristino dello stato dei luoghi. I provvedimenti di annullamento del Comune venivano, di conseguenza, impugnati dalla società innanzi il TAR.

Ciò detto, il giudice di prime cure con la sentenza in commento ha accolto il gravame proposto, apprezzando le seguenti censure:

(i) termine entro cui espletare il potere di autotutela: l’attore contestava il tardivo provvedimento comunale di autotutela (del 2018), poiché riferito ad un permesso di costruire (del 2015) rilasciato ben tre anni prima dell’atto di autotutela.

Ed invero, sul punto il giudice amministrativo campano, accogliendo il motivo di diritto proposto, ha sancito, che:

  • il termine ridotto di diciotto mesi si applica a tutti gli atti (…) inclusi i titoli edilizi”, e
  • il termine di diciotto mesi va inteso come un astratto e generale termine “decorso il quale non potrà essere legittimamente esercitato il potere di ritiro dei provvedimenti ampliativi per vizi di legittimità”;
  • rispetto agli atti adottati anteriormente all’attuale versione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990, tale termine va computato con decorrenza dalla data di entrata in vigore della novella introdotta dalla legge n. 124/2015 (28 agosto 2015) e salva, comunque, l’operatività del “termine ragionevole” già previsto dall’originaria versione dell’art. 21-nonies cit.

(ii) tutela dei vantaggi maturati dal privato: orbene, il Collegio napoletano, accogliendo la censura attorea, precisava che “l’opzione normativa appare con chiarezza ispirata alla logica di una (…) prevalutazione legale degli interessi in conflitto, per evidenti ragioni di tutela degli affidamenti maturati dai privati su situazioni vantaggiose (…) con la conseguenza che (…) superato” detto termine, e dunque disattendendo il testo legislativo, “il ripristino della legalità violata è, con insuperabile presunzione, ritenuto subvalente rispetto alle legittime aspettative private”.

Al riguardo, per completezza si segnala che, seppur non espressamente citato dalla pronuncia, sulla tutela dei vantaggi conseguiti dai privati la giurisprudenza amministrativa aveva già da tempo inequivocabilmente riconosciuto la tutela (del principio comunitario) del “legittimo affidamento”, ossia di quelle situazioni soggettive di vantaggio consolidatesi in capo ai terzi a seguito di atti o comportamenti posti in essere dalla Pubblica Amministrazione idonei ad ingenerare un ragionevole affidamento.

Parimenti, si può senz’altro sostenere che il tenere “conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati” imposto dalla novella oggetto del presente intervento, altro non è che la tipizzazione del “legittimo affidamento”;

(iii) false rappresentazioni: da ultimo il Giudice Amministrativo campano si soffermava sulla presunta falsa rappresentazione eccepita dall’Amministrazione Comunale, rigettando tuttavia tale censura e sancendo, al contrario, che il “Comune non ha indicato (…) alcuna ulteriore specifica fattispecie di mendacio rinvenibile nella pratica edilizia, limitandosi genericamente a dedurre l’applicabilità dell’ipotesi eccettuativa di cui al comma 2-bis”.

Anche in questo caso, seppur non espressamente richiamato dal Giudice, trova vigore il principio dell’onere motivazionale positivizzato dall’art. 3 della legge sul procedimento amministrativo, ai sensi del quale l’obbligo di motivazione è da considerare generalizzato ed esteso a tutti i provvedimenti amministrativi.

Conclusioni. Il Giudice Amministrativo, accogliendo il ricorso e annullando i provvedimenti comunali di autotutela, ha voluto così limitare la discrezionalità amministrativa al fine (i) di evitare un esercizio del potere pubblico ad libitum e (ii) di confermare il rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa.

Come rilevato del resto, il TAR Napoli ha dato risalto, per un verso, alla perentorietà del termine dei diciotto mesi entro cui esercitare il potere di autotutela, per altro verso, al ruolo del privato il quale, a fronte del superamento del termine di legge entro cui la Pubblica Amministrazione può esercitare l’autotutela, si trova ipso facto in una posizione giuridica consolidata e meritevole di tutela.

Infine, il Giudice campano ha rimarcato che la denuncia di falsa rappresentazione manifestata da un’Amministrazione, come tutti gli atti amministrativi, necessita di un onere motivazionale, non potendosi laconicamente richiamare novelle legislative ma dovendo, invece, specificare le fattispecie di mendacio.