Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente

Standard urbanistici, deroga possibile anche nell’esercizio dellefacoltà pianificatorie del Comune

Le misure degli standard urbanistici sono inderogabili oppure i Comuni possono adeguare le quantità di aree collettive, verde pubblico e parcheggi alle caratteristiche dei propri territori? Si tratta di un argomento molto dibattuto e che ha generato incertezze applicative, come testimoniano le numerose sentenze sia dei giudici ordinari che della Corte Costituzionale sul tema.

Da ultimo, la Corte Costituzionale è stata recentemente chiamata ad esprimersi sulla questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2 bis del TUE e dell’articolo 103 della LR Lombardia n. 12/2005, ossia norme che hanno concesso ai comuni poteri di derogare le disposizioni di cui al DM 1444/1968 (sentenza n. 85/2023).

La pronuncia in esame offre lo spunto per una riflessione sulla funzione degli standard urbani e sulle possibilità di incidervi, in diminuzione o in aumento, da parte dei Comuni.

Cosa sono gli standard. La disciplina degli standard urbanistici trova origine nella L. 765/1967 che ha richiesto agli strumenti di pianificazione di prevedere misure stabilite per spazi pubblici e rapporti massimi tra spazi destinati ad insediamenti privati e spazi pubblici, collettivi, verde pubblico e parcheggi (art. 41-quinquies L. n. 1150 del 1942). Lo scopo è quello di garantire uno sviluppo del territorio ordinato ed equilibrato, fornendo un adeguato livello di infrastrutture pubbliche a sostegno di ogni uso.

Queste previsioni sono state poi attuate con il DM 1444/1968 che ha individuato specifiche percentuali di dotazioni infrastrutturali per ciascuna destinazione funzionale in ciascuna delle zone urbane definite dala pianificazione urbanistica comunale. Queste percentuali e misure sono state poi declinate spesso anche dalle norme regionali: nel caso portato all’attenzione della Corte Costituzionale, la legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, affida al piano dei servizi il compito di assicurare “una dotazione globale di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico o generale, le eventuali aree per l’edilizia residenziale pubblica e da dotazione a verde, i corridoi ecologici e il sistema del verde di connessione tra territorio rurale e quello edificato”. Tra i criteri cui i comuni si devono attenere nella redazione del piano dei servizi vengono elencati parametri non rigidamente vincolati alle funzioni assegnate alle varie porzioni del territorio comunale, dovendo la dotazione di infrastrutture dipendere dalla popolazione stabilmente residente per come gravitante sulle diverse tipologie di servizi distribuiti sul territorio, dalla popolazione da insediare secondo le previsioni del documento di piano e su quella comunque presente sul territorio. L’articolo 9 della Lr 12/2005 stabilisce inoltre che “è comunque assicurata una dotazione minima di aree per attrezzature pubbliche e di interesse pubblico pari a diciotto metri quadrati per abitante”.

La possibilità di derogare. Dieci anni fa, la prima crepa (nazionale) alla tassatività degli standard: il DL 69/2013 ha introdotto l’articolo 2-bis che consentiva a Regioni e province autonome di prevedere, con proprie leggi e regolamenti, disposizioni derogatorie al DM 1444/1968 dettando disposizioni sugli spazi da destinare agli insediamenti residenziali, a quelli produttivi, a quelli riservati alle attività collettive, al verde e ai parcheggi, nell’ambito della definizione o revisione di strumenti urbanistici comunque funzionali a un assetto complessivo e unitario o di specifiche aree territoriali. In altri termini, si rimetteva alla potestà legislativa di regioni e provincie autonome valutare di introdurre negli ordinamenti regionali deroghe agli standard. La condizione di fondo era (ed è) che la deroga non potesse essere “puntuale”, ossia per un singolo intervento, al contrario essa poteva essere ammessa solo nell’ambito della preparazione di strumenti urbanistici complessivi. Lo scopo è quello di venire incontro a specifiche realtà territoriali in cui gli interventi potrebbero essere ingessati se si dovesse applicare il DM 1444/1968.

In Lombardia, già nel 2008 (quindi prima dell’intervento del DL 69/2013), la l.r. 12 prevedeva la possibilità di derogare alle disposizioni del DM 1444/1968 ma anche in questo caso, la deroga era prevista in una determinata finestra temporale e al solo scopo di adeguare gli strumenti urbanistici vigenti alle nuove forme di pianificazione introdotte dalla medesima legge (documento di piano, piano delle regole, piano dei servizi).

Un articolato normativo molto complesso, in cui l’ordinamento attribuisce la possibilità di derogare solo a determinati enti, nell’esercizio di specifiche funzioni, e anche – in alcuni casi – in archi temporali definiti.

Per questa ragione, per definire le competenze e i poteri in caso di deroga non può prescindersi da un esame puntuale di volta in volta delle singole fattispecie normative – anche regionali – che consentono di ricorrere al meccanismo derogatorio.

Il caso sottoposto alla Corte. Nel caso che ha originato il giudizio costituzionale, una amministrazione comunale ha approvato una variante generale al PGT stabilendo, in alcune aree oggetto di riqualificazione urbana, una quantità di standard urbanistici di molto superiore alle misure imposte dal DM 1444/1968.

È stato un esercizio del potere di deroga, basato sull’articolo 103 della LR 12?

Proprio in ragione della complessità normativa – e interpretativa – della materia, la Corte ha svolto un esame approfondito delle norme che si assumevano incostituzionali ed è giunta a ritenere la questione inammissibile: i giudici hanno infatti dimostrato che la delibera del Comune che la ricorrente ha impugnato non è espressione del potere di deroga di cui all’articolo 103 della LR 12/2005, in altri termini il sovradimensionamento di standard indicato dal Comune nella propria strumentazione urbanistica non è l’esito dell’esercizio di una deroga normativa (esercitata in spregio alle norme costituzionali).

In altri termini, la Corte ha rinvenuto che la decisione di sovradimensionare gli standard non fosse riconducibile alla previsione normativa di cui all’articolo 103 della LR 12/2005 in quanto la delibera di variante non si colloca nella finestra temporale della legge.

Questo ci porta all’ulteriore osservazione che non è necessario per i Comuni ricorrere allo straordinario potere di deroga se decidono di distaccarsi dai minimi imposti dal DM 1444/1968 e quindi di imporre misure maggiori agli standard urbanistici. Questa facoltà può essere esercitata anche nell’esercizio delle facoltà pianificatorie, ma in questo caso è necessario motivare in maniera idonea e congrua in ordine alle ragioni che impongono l’aumento degli standard rispetto alle previsioni normative, risultando in caso contrario una tale scelta illegittima (T.A.R. Milano sez. II, 25/01/2021, n.226); tale motivazione rafforzata deve essere riferita alle previsioni urbanistiche complessive di sovradimensionamento, indipendentemente dal riferimento alla destinazione di zona di determinate aree, e deve chiarire perché il Comune abbia inteso superare i limiti minimi previsti dalla legge, atteso che la scelta urbanistica incide fortemente sulla facoltà di godimento connesse al diritto di proprietà ricadente sulle aree destinate a standard ed è pertanto necessario, se si decide di sovradimensionare gli standard, che siano esternate le ragioni che spingono ad un sacrificio degli interessi privati superiore rispetto a quello minimo imposto, in via generale, dall’ordinamento (T.A.R. Milano, sez. II, 09/03/2021, n.618). Resta ferma, ovviamente, la possibilità dei proprietari delle aree ad impugnare gli atti di pianificazione.