Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente

Serviced apartments e micro living: il quadro normativo italiano è pronto?

Francesco Ascione, Carlotta BenigniCarmen Chierchia

PANORAMICA SUL MERCATO “LIVING”

Negli ultimi anni gli investimenti nel settore del living in tutta l’Unione Europea sono cresciuti in maniera costante, assumendo un volume di rilievo tanto quanto gli investimenti nei tradizionali settori commerciali. In Italia nel 2022 il settore del living ha registrato un volume di investimenti di circa 1 miliardo di euro, concentrati principalmente sul mercato di Milano (52%), seguito da Roma e Torino, con una crescita complessiva del 35% rispetto all’anno precedente (cfr. “Dils – Italian real estate market 2022”).

La crescita del mercato living è stata trainata altresì dai nuovi modelli di business, sempre più implementati da operatori internazionali anche in Italia, che puntano sui cosiddetti serviced apartment / affitti brevi al fine di soddisfare, nello stesso tempo, esigenze turistico-recettive ed esigenze abitative temporanee dei cosiddetti “uomini d’affari”. Secondo i dati diffusi nel 2022 da Aigab (Associazione Italiana Gestori Affitti Brevi) il settore degli affitti brevi / serviced apartment ha generato circa 11 miliardi di euro in termini di PIL nazionale, rispetto ai 28 miliardi di euro generati dall’intero settore alberghiero. Segno ti un crescente interesse dell’utenza in questa peculiare tipologia di offerta residenziale.

Il modello di business del serviced apartment consiste nel fornire a turisti nazionali e internazionali ed a uomini d’affari delle soluzioni abitative completamente arredate, insieme ad un certo numero di “servizi accessori” volti a rendere il soggiorno dell’utente, a prescindere dalle finalità dello stesso, il più confortevole possibile. Orbene, ponendo un focus sull’attuale quadro normativo italiano, ci siamo chiesti se esso sia pronto ad affrontare le sfide provenienti da questi nuovi modelli di business dal punto di vista civilistico, urbanistico e fiscale.

ASPETTI Civilistici

Non è facile sussumere la fattispecie dei “serviced apartments ” nell’ambito di un contratto tipizzato ai sensi del nostro sistema giuridico. Dato che il modello di business consiste nell’offrire all’utilizzatore finale appartamenti arredati congiuntamente ad una serie di servizi aggiuntivi, il contratto da stipulare con l’utilizzatore finale non sembrerebbe poter essere quello di “locazione” né tantomeno il contratto di affitto breve “bed and breakfast”.

A tal riguardo, infatti, preme sottolineare che il Codice Civile impone che oggetto del contratto di locazione sia il solo godimento dell’immobile (a volte con le alcune dotazioni) dietro pagamento di un corrispettivo in denaro (il canone), in assenza di servizi aggiuntivi. Viceversa, i contratti di affitto breve modello “bed and breakfast” prevedono la somministrazione di cibo e bevande a colazione e tempistiche di soggiorno molto brevi. È quindi difficile decidere quale tipo di contratto offrire agli ospiti dei serviced apartments secondo la legge italiana.

Pertanto, chiarito quanto sopra, occorre interrogarsi sulla tipologia contrattuale da poter offrire all’utilizzatore finale dei serviced apartments alla stregua dell’ordinamento Italiano rebus sic stantibus. Orbene, l’articolo 1322 del Codice Civile prevede che “le parti possono anche concludere contratti che non appartengono ai tipi aventi una disciplina particolare, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico“. In base a tale previsione, il rapporto contrattuale da stabilirsi con gli utilizzatori finali dei serviced apartments potrebbe rientrare nella categoria dei cosiddetti contratti “atipici”, ritenuti legittimi dal nostro ordinamento, nel rispetto di quanto previsto ai sensi dell’articolo 1322 del Codice Civile. Il contratto “atipico” in questione risulta differente, e pertanto non pienamente sussumibile – pur presentando alcuni aspetti e caratteristiche tipiche di ognuna di esse – nelle fattispecie tipizzate dei contratti di locazione, dei contratti di fornitura (mediante i quali il fornitore si impegna a fornire all’altra parte prestazioni periodiche o continuative) e dei contratti di servizio (mediante i quali una parte si impegna a eseguire opere o servizi a fronte di un corrispettivo).

Alla stregua di quanto sopra, dunque, si potrebbe ipotizzare di identificare il contratto atipico in commento come “contratto atipico di residence o contratto di alloggio“, la cui fattispecie è stata ritenuta “meritevole” di tutela anche da alcune pronunce giurisprudenziali.

Sul punto, la Suprema Corte ha avuto modo di chiarire ed evidenziare le differenze che sussistono tra la fattispecie in commento ed il contratto tipico di locazione: (a) nei contratti di locazione l’oggetto del servizio da fornire è limitato al “godimento dell’immobile”, mentre (b) nel contratto atipico di alloggio / residence il godimento dell’immobile è collegato e integrato da una serie di servizi di natura genericamente alberghiera (quali, ad esempio, cambio biancheria, gestione delle utenze, cucina attrezzata, servizio di portineria diurna e notturna, servizi di lavanderia, servizi di pulizia, servizi di casella postale etc. che assumono una rilevanza assolutamente paritetica (e non ancillare) rispetto al godimento dell’alloggio (cfr. Cass. 1067/1987 e Cass. 11859/1992). Inoltre, la medesima Suprema Corte ha altresì chiarito che il contratto di alloggio non  può essere qualificato come un rapporto di locazione neanche quando gli ospiti hanno usufruito solo parzialmente dei servizi accessori, poiché è essenziale (e sufficiente) che tali servizi aggiuntivi esistano e siano oggetto del relativo contratto (cfr. Cass. 4763/1999).

Pertanto, se da un parta sembra ragionevole, tenuto conto dell’attuale quadro normativo Italiano, poter ricorrere a questa tipologia di contratti “non tipizzati” per venire incontro alle esigenze degli operatori nazionali ed internazionali che intendono implementare questo modello di business anche in Italia, dall’altra parte è quanto mai opportuno un pronto intervento del legislatore Italiano volto a tipizzare e regolamentare i termini, le condizioni e i limiti di questa tipologia contrattuale, per offrire maggiori certezze e garanzie agli operatori del settore.

ASPETTI URBANISTICI

Dal punto di vista urbanistico, la categoria dei serviced apartments non è chiaramente disciplinata dalle leggi nazionali e regionali. Pertanto, quando un operatore del settore dovrà verificare la compatibilità urbanistica di un investimento immobiliare volto ad implementare il modello dei serviced apartments, dovrà considerare due livelli normativi: (i) la normativa urbanistica, sia a livello regionale che comunale, e (ii) la normativa regionale sul turismo.

In merito agli aspetti prettamente urbanistici, la normativa nazionale prevede solo cinque destinazioni d’uso tipizzate (i.e. residenziale, turistica, industriale e direzionale, rurale, commerciale). Tuttavia, ogni regione può regolamentare tali usi con proprie norme specifiche seppur nel rispetto dei principi delineati a livello nazionale. In aggiunta, a completare il quadro normativo, bisognerà considerare anche il livello più dettagliato degli standard per le varie tipologie d’uso contenuto nei regolamenti comunali.

Ciò chiarito, in linea di principio, la categoria dei serviced apartments dovrebbe rientrare, a livello urbanistico, nella funzione d’uso “residenziale”.

Tuttavia, come sopra richiamato, è necessario procedere ad una duplice verifica alla stregua anche della normativa regionale sul turismo applicabile ai casi di specie, questo in quanto molte regioni qualificano la fornitura di servizi in unità abitative come “attività extra-alberghiere“. A tal riguardo, l’inquadramento più comune che si riscontra alla stregua della normativa regionale sul turismo per questa tipologia di servizio è quella delle “case ed appartamenti per vacanze” (CAV). Le CAV, infatti, sono solitamente concesse in uso agli utilizzatori finali mediante un contratto di alloggio, e prevedono che nelle unità abitative vengano offerti servizi come il cambio della biancheria, la pulizia, eventualmente la prima colazione.

I punti importanti da analizzare per implementare il modello dei serviced apartments  sono:

  • Verificare esattamente quali sono i servizi da offrire e confrontarli con quelli indicati nella normativa regionale.
  • Assicurarsi che la destinazione d’uso sia residenziale.
  • Assicurarsi che non vengano superati eventuali limiti previsti da leggi regionali (ad esempio, alcune regioni stabiliscono un numero massimo di CAV per ciascun immobile).

In ogni caso, segnaliamo che non è possibile offrire un paradigma esaustivo e definitivo sui serviced apartments da un punto di vista urbanistico: sarà necessario indagare la materia di volta in volta, eseguendo specifici studi di fattibilità, volti a verificare la conformità del modello di business che si vuole implementare con la normativa urbanistica e del settore turistico applicabile.

ASPETTI FISCALI

Infine, dal punto di vista fiscale, l’incertezza sulla qualificazione del contratto da stipularsi con gli utilizzatori finali dei serviced apartments ha conseguenze anche in termini di IVA.

Poiché l’IVA diventerebbe un costo per il cliente finale, è necessario considerare la sua applicabilità nella determinazione dei canoni da pagare quale corrispettivo dei servizi resi. Tale circostanza, ovviamente, potrà avere un impatto sul business plan dell’operatore interessato all’investimento nei serviced apartments.

Ai sensi della normativa europea e italiana in materia di IVA, i canoni relativi ai contratti di locazione ad uso abitativo sono esenti IVA, salvo che il locatore non sia l’impresa che ha costruito l’immobile o che ha effettuato lavori di ristrutturazione significativi (ad esempio, ristrutturazione, restauro o risanamento) sull’immobile. In quest’ultimo caso, il locatore può applicare l’IVA ai canoni di locazione con aliquota del 10%. Lo stesso trattamento fiscale (esenzione o IVA al 10% a seconda dei casi) sarebbe applicabile anche a quei “servizi essenziali” (come la disponibilità di arredi, Wi-Fi, riscaldamento, aria condizionata, utenze) che sono strettamente legati al godimento dell’immobile e come tali possono essere considerati strettamente accessori al godimento dell’immobile.

Viceversa, nel caso dei contratti atipici di alloggio / residence, l’offerta dei servizi aggiuntivi non sarebbe “accessoria” ma, come sopra ricordato, oggetto del contratto in maniera paritetica rispetto al godimento dell’immobile. In alcuni casi tale circostanza potrebbe addirittura qualificare il godimento dell’appartamento non come servizio primario, ma come una mera componente di una prestazione di servizi più complessa. Di conseguenza, l’IVA ordinaria con aliquota del 22% si renderebbe applicabile all’intero corrispettivo richiesto in contratto. Un modo per limitare questo rischio potrebbe essere quello di determinare separatamente l’importo da pagare per il godimento dell’immobile rispetto all’importo dovuto per i restanti servizi aggiuntivi.

Infine, se, dal punto di vista civilistico e amministrativo, l’offerta del godimento dell’immobile insieme ai servizi aggiuntivi può essere qualificata come struttura ricettiva alla stregua della normativa turistica applicabile, l’IVA diventerebbe applicabile ma con l’aliquota ridotta del 10%.

Alla luce di questo scenario incerto, quando si esaminano i serviced apartments, un’analisi caso per caso dei servizi offerti e delle leggi amministrative applicabili è fondamentale per accertare meglio la potenziale applicabilità dell’IVA.