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Competenze nazionali e regionali per gestire l’emergenza Covid

È dall’inizio del periodo di emergenza che il lessico quotidiano si è arricchito di parole e acronimi, come DPCM e ordinanze contingibili e urgenti, che non sono di uso comune.

Si tratta dei provvedimenti che hanno dettato le misure di contenimento dell’emergenza da Covid-19, e che nel giro di poche settimane, si sono moltiplicati, stratificati e, qualche volta, sono entrati in contrasto tra loro.

I provvedimenti che hanno efficacia sul territorio nazionale sono i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (“DPCM”) emessi in virtù di apposto conferimento di potere da parte di un atto avente forza di legge, ossia i decreti legge (prima il DL 6/2020 e poi il 19/2020).

A fronte di provvedimenti nazionali (i DPCM appunto) spesso le Regioni e i Comuni hanno emesso (e tutt’oggi emettono) ordinanze mirate ad adeguare la disciplina dei DPCM alle esigenze espresse dal territorio locale.

Cosa significa “adeguare”? Quale è la sfera di competenza di Regioni e Comuni nel cui interno si può legittimamente esprimere il potere regolamentare di questi enti?

Il recente parere del Consiglio di Stato (n. 735 del 7 aprile 2020) ha fornito indicazioni sulla composizione dei possibili contrasti ingenerati dalla proliferazione delle ordinanze e ha indicato la griglia delle condizioni di legittimità delle ordinanze regionali e comunali.

Ma non solo, il parere è anche interessante perché è stato emesso nel contesto, delineato dall’articolo 138 del Testo Unico degli Enti Locali, del procedimento per l’annullamento governativo gli atti degli enti locali viziati da illegittimità.

Nella maggior parte dei casi, l’illegittimità delle ordinanze (più in generale, degli atti amministrativi) viene rilevata dal giudice amministrativo, mentre il parere analizza le caratteristiche dell’annullamento straordinario previsto dall’articolo 138 del TUEL, ossia il potere di annullamento, a tutela dell’unità dell’ordinamento, che si esprime con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e su parere del Consiglio di Stato.

I primi provvedimenti per l’emergenza Covid. Fin dal 23 febbraio 2010, giorno delle prime disposizioni governative (Decreto legge 6/2020 e DPCM 23.2.2020), in alcune regioni Italiane venivano introdotte disposizioni particolari, limitate al territorio locale, che restringevano alcuni diritti e libertà che nel resto di Italia restavano intatti.

Si tratta delle Regioni dei primi focolai (Lombardia e Veneto) e di quelle limitrofe (Emilia Romagna, Friuli, Liguria) che erano interessate dalle Ordinanze del Ministero della Salute di intesa con i Presidenti delle relative Regioni.

Le ordinanze regionali. Il propagarsi dell’epidemia ha spinto, nel corso del mese di marzo 2020, i Presidenti di Regione ad emanare ordinanze regionali allo scopo di dettare misure specifiche per ciascuna realtà territoriale.

Si tratta di decine di provvedimenti che hanno disposto limitazioni alla circolazione delle persone, la chiusura degli spazi pubblici, specificazioni sulle giornate di apertura e sugli orari degli esercizi commerciali, ma anche la sospensione dei servizi medici non essenziali, l’introduzione di obblighi di informare le ASL per chi rientrava da zone a rischio.

Queste ordinanze venivano emanate ai sensi dell’articolo 32, comma 3 della L. 23 dicembre 1978 n. 833 che conferisce al Presidente della Giunta regionale e ai sindaci la possibilità di emanare ordinanze contingibili e urgenti nelle materia di igiene e sanità pubblica, di vigilanza sulle farmacie e di polizia veterinaria.

In questo contesto, anche moltissimi Sindaci hanno emesso ordinanze contingibili e urgenti spesso per precisare le modalità dell’applicazione delle disposizioni nazionali e regionali nella propria realtà territoriale locale.

Si ricorda che il potere di emettere questo tipo di ordinanze è contenuto nel Testo Unico degli Enti locali (D.Lgs. 267/2000) e precisamente all’articolo 50 che prevede questa possibilità non solo nei casi di “emergenze sanitarie o di igiene pubblica”, ma anche in relazione alle necessità urgenti “di interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti”. Questo potere è, poi, contenuto anche nel successivo articolo 54 secondo cui “Il sindaco, quale ufficiale del Governo, adotta, con atto motivato provvedimenti  anche] contingibili e urgenti nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento, al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”.

L’ordine gerarchico. In questo contesto composto da più provvedimenti, il criterio di priorità tra essi è stato dato proprio dal primo provvedimento governativo emesso per fronteggiare l’emergenza (il DL. 23.2.2020, poi convertito nella legge 5 marzo 2020, n. 13) che prevedeva, all’articolo 3, che “Le misure di cui agli articoli 1 e 2 sono adottate (…) con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, (…). 2. Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, nei casi di estrema necessità ed urgenza le misure di cui agli articoli 1 e 2 possono essere adottate ai sensi dell’articolo 32 della legge 23  dicembre 1978, n. 833, dell’articolo 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dell’articolo 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.

In altri termini, già da fine febbraio 2020, veniva individuata una gerarchia delle fonti:

  1. Le misure di contenimento dell’emergenza dovevano essere disposte con i decreti del presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM);
  2. Unicamente nel caso in cui, in una determinata materia non vi fosse una previsione da parte di un DPCM, e nei casi di estrema necessità ed urgenza, potevano essere emanate ordinanze contingibili e urgenti da parte di Regioni e Comuni.

Assume(va), quindi, prevalenza la disciplina nazionale, dettata appunto con DPCM e, solo in via sussidiaria e per misure non già regolamentate dai DPCM, potevano essere emesse ordinanze regionali e comunali.

Il successivo DL 19/2020. Successivamente, il 25 marzo 2020 è stato pubblicato in Gazzetta il D.L. 19/2020 che ha riordinato le disposizioni per fronteggiare l’emergenza epidemiologica.

Per quanto riguarda l’articolazione delle competenze, l’articolo 2 del DL 19/2020 ha, di fatto, ribadito quanto già disposto dal precedente DL, prevedendo che le misure di contenimento possono essere emesse in primis con i DPCM e, solo in presenza di determinate condizioni (ossia nelle more dell’emanazione dei DPCM e nei casi di estrema necessità e urgenza) con ordinanze regionali e/o comunali.

Si tratta quindi di una clausola di salvaguardia generale a tutela dell’unità dell’ordinamento nazionale finalizzata a contemperare l’esigenza di garantire livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali sull’intero territorio nazionale con quella di assicurare a Regioni e Comuni, adeguati poteri atti ad emettere interventi mirati sui territori di competenza.

Ne discende che, ove i DPCM siano stati emessi e non siano provati casi di estrema necessità, le Regioni e i Comuni possono quindi intervenire con ordinanze unicamente all’interno del quadro regolamentare emesso a livello statale.

Nella pratica non è sempre agevole comprendere se i provvedimenti locali, che spesso incrementano il livello di protezione e aumentano il numero e le modalità delle limitazioni personali, si muovono correttamente nel quadro normativo dettato dal legislatore nazionale e dai DPCM.

Nel casi che analizziamo di seguito il giudice amministrativo ha ritenuto legittime due ordinanze regionali (campana e sarda), mentre il Consiglio di Stato ha ammesso il potere di annullamento ai sensi dell’articolo 138 Tuel per una ordinanza comunale, emessa dal Sindaco di Messina.

Le prime pronunce. Limitazioni alle attività sportive. Con Decreto presidenziale (n. 416 del 18 marzo 2020), il Presidente della V sezione del TAR Napoli ha rigettato la domanda di sospensione dell’ordinanza del Presidente di Giunta Regionale n. 15 del 13 marzo 2020. Si tratta dell’ordinanza che obbliga i cittadini campani a rimanere nelle proprie abitazioni, fatte salve situazioni di necessità.

Questa ordinanza è stata poi oggetto di un apposito chiarimento, a firma del Presidente della Giunta Campana, secondo cui “l’attività sportiva, ludica o ricreativa all’aperto in luoghi pubblici o aperti al pubblico non è compatibile con il contenuto dell’Ordinanza n. 15 del 13 marzo 2020”.

Alla data di emissione dell’ordinanza, il DPCM 8 e 9 marzo 2020 (tutt’oggi vigenti) stabilivano misure meno restrittive disponendo di:

  • evitare ogni spostamento delle persone fisiche in entrata e uscita dai territori di cui al presente articolo, nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute
  • sono sospesi gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati (…); lo sport e le attività motorie svolti all’aperto sono ammessi esclusivamente a condizione che sia possibile consentire il rispetto della distanza interpersonale di un metro”.

L’ordinanza regionale ha quindi introdotto misure maggiormente restrittive rispetto alla norma nazionale (imponendo un chiaro obbligo di restare nella propria abitazione e impedendo attività sportiva all’aperto).

Per il Tar Campania, queste misure appaiono (il decreto è monocratico e sarà poi discusso in collegio il 21 aprile) legittime perché (i) l’ordinanza cita le fonti su cui si basa, ossia i DPCM e la L. 833/1978 (ii) l’ordinanza e il chiarimento recano motivazioni che danno conto di una previa istruttoria facendo riferimento al “rischio di contagio, ormai gravissimo sull’intero territorio regionale” e al fatto che i “dati (…) dimostrano che i numeri di contagio sono in continua e forte crescita nella regione”.

Sulla base di questo iter argomentativo e del fatto che va accordata prevalenza alle misure di tutela della salute pubblica, il TAR ha rigettato la richiesta di sospensione cautelare.

Cambiamo regione, argomento e competenze,  passando dallo sport all’aria aperta agli orari per la spesa, e dalle ordinanze regionali a quelle comunali.

Il Sindaco del Comune di Pula ha emesso due ordinanze contingibili e urgenti (n. 9 del 31 marzo 2020 e n. 10 del 2 aprile 2020) con cui ha disposto, iter alia, limitazioni ai comportamenti delle persone stabilendo, in particolare che l’accesso ai supermercati è limitato a una sola persona per nucleo familiare e per un massimo di 2 ingressi a settimana nei supermarket e una volta al giorno nei piccoli esercizi).

Anche in questo caso, il TAR Sardegna non ha accordato la misura cautelare monocratica della sospensione delle ordinanze stabilendo che le ordinanze contingibili e urgenti impugnate

  • sono state adottate in presenza dei presupposti di necessità e urgenza in materia sanitaria;
  • non si pongono in contrasto con le disposizioni dettate a carattere nazionale e a livello regionale, che sono state anche richiamate nelle ordinanze,
  • si limitano a rendere più stringenti alcune delle misure prese a livello nazionale e regionale
  • hanno il fine dichiarato di evitare che il contagio nell’ambito comunale possa diffondersi attraverso comportamenti delle persone non in linea con l’obiettivo di limitare al massimo gli spostamenti e le uscite dalla propria abitazione per l’approvvigionamento dei necessari beni alimentari.

Per queste ragioni il TAR Sardegna non ha ritenuto manifestamente irragionevole la contestata scelta di limitare il numero delle volte in cui può essere consentito al cittadino di recarsi in esercizi commerciali per l’approvvigionamento di beni alimentari.

Gli spostamenti in Regione Sicilia. La fattispecie che ha originato il parere del Consiglio di Stato nasce dall’ordinanza del Sindaco di Messina (n. 105 del 5 aprile 2020). Si tratta di una ordinanza che detta disposizioni molto più incisive, rispetto quanto disposto dalle due appena esaminate.

Questa ordinanza, infatti, introduceva l’obbligo per chi intendeva intende fare ingresso in Sicilia (i) di registrarsi, su un sito web comunale creato appositamente per lo scopo, fornendo una serie di dati identificativi personali e relativi alla località di provenienza, a quella di destinazione e ai motivi del trasferimento, e di (ii) attendere il rilascio di un nulla osta allo spostamento da parte del Comune di Messina e del Comune di destinazione.

Il Consiglio di Stato ha considerato che l’ordinanza del Sindaco di Messina chiaramente è illegittima per molteplici ragioni: (i) ha dettato norme che possono trovare applicazione ed avere efficacia al di fuori del perimetro della propria circoscrizione, (ii) ha richiesto ai cittadini prestazioni personali non imposte dalla legge, (iii) ha introdotto nell’ordinamento un nulla osta non previsto da alcuna norma ed in chiaro contrasto con la libertà personale e di circolazione sancita dalla Costituzione (iv) si pone in contrasto con i principi di derivazione comunitaria in materia di protezione di dati personali.

Alla luce di queste ragioni il Consiglio di Stato ha ritenuto che sussistono i presupposti perché si provveda all’annullamento straordinario dell’ordinanza.

In conclusione, quindi, le condizioni per ricorrere ai poteri di ordinanza regionale e comunale ai sensi dell’articolo 3 del D.L. 19/2020 sono :

  • condizione temporale: esse possono essere emesse nelle more dell’adozione dei DPCM con efficacia limitata fino a tale momento;
  • condizione di specificità locale: le ordinanze possono essere emesse in relazione a specifiche situazioni sopravvenute di aggravamento del rischio sanitario verificatesi nel loro territorio o in una parte di esso; tali circostanze, in applicazione delle ordinarie regole sulla motivazione del provvedimento amministrativo, non devono solo essere enunciate ma anche dimostrate;
  • rispetto delle competenze: esclusivamente nell’ambito delle attività di loro competenza;
  • condizione di merito: le ordinanze non devono incidere su attività produttive e attività quelle di rilevanza strategica per l’economia nazionale.