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Le misure di salvaguardia: alcuni spunti di riflessione

di Viviana De Napoli

L’adozione del Piano di Governo del Territorio di Milano, con la Delibera di Consiglio Comunale del 5 marzo 2019, che ha fatto scattare l’operatività delle cd. Misure di Salvaguardia, è l’occasione per ricordare cosa sono queste misure e a quali strumenti urbanistici si collegano.

Lo spunto è anche offerto dalla recente sentenza del Consiglio di Stato (8 marzo 2019, n. 1599) che ha chiarito che l’istituto in questione si applica “a tutti i piani comunali, generali o particolareggiati, indipendentemente dal loro nomen iuris e dalla loro configurazione procedimentale, sempre che sussistano gli stessi presupposti della disposizione statale“.

Lo scopo delle Misure di salvaguardia. Le misure di salvaguardia, in una prospettiva esclusivamente cautelare, hanno lo scopo di evitare che, nel periodo intercorrente tra l’adozione e l’approvazione definitiva di un piano urbanistico, il rilascio di provvedimenti che consentono attività edificatorie (o comunque trasformative) del territorio – alla stregua di norme più permissive – possa compromettere l’assetto urbanistico previsto dagli strumenti adottati, ma non ancora approvati.

Per queste ragioni, fino all’approvazione di un nuovo strumento urbanistico pianificatorio, ogni determinazione sulle domande che involgano attività trasformative del territorio dovrà essere sospesa in attesa dell’entrata in vigore del nuovo piano, alla stregua del quale dovrà assumersi la determinazione definitiva. Da qui la natura obbligatoria, vincolata e temporanea di dette misure.

Gli strumenti a cui si applica. Introdotto dall’art. 4 del D.L. n. 740/1948 sui piani di ricostruzione, disciplinato dall’articolo unico della L. n. 1902/1952 e riferito esclusivamente ai piani regolatori generali e ai piani particolareggiati, l’istituto delle misure di salvaguardia è stato esteso, nel corso degli anni dapprima dal legislatore e poi a livello giurisprudenziale, a molti strumenti urbanistici (piani di lottizzazione, piani di zona PEEP, piani per insediamenti produttivi, piani di recupero). Attualmente è disciplinato dall’art. 12, commi 3 e 4, del D.P.R. n. 380/2001 che ne ha cristallizzato la forza espansiva laddove, nel confermarne l’obbligatorietà, ne ha riconosciuto l’applicabilità agli “strumenti urbanistici adottati” in tal modo estendendolo a qualunque piano urbanistico.

La giurisprudenza amministrativa ha attribuito una valenza generale a detto istituto riconoscendone l’applicabilità a qualsivoglia atto dell’amministrazione (autoritativo o convenzionale) che possa comportare la modificazione dello stato di fatto o di diritto dei suoli, difformemente dalle previsioni del piano in corso di approvazione (cfr. ex pluribus, Cons. Stato, Sez. IV, 8 giugno 2000, n. 3243). Presupposto necessario è che gli strumenti urbanistici siano stati formalmente adottati, a prescindere dalla pubblicazione della delibera di adozione. Si precisa, inoltre, che l’istituto in esame può trovare applicazione non soltanto in relazione al permesso di costruire (che richiede, quindi, l’adozione di un provvedimento espresso da parte dell’amministrazione), ma anche con riferimento alle DIA perfezionatesi nel lasso di tempo intercorrente tra la approvazione del piano e la sua entrata in vigore.

Le istanze presentate durante la vigenza della salvaguardia. Nell’ipotesi in cui, quindi, sia in corso di approvazione la nuova strumentazione urbanistica, dinanzi alla presentazione di un’istanza diretta ad ottenere un titolo edilizio gli scenari potranno essere i seguenti:

  • in primo luogo, se il progetto sia in contrato con la normativa urbanistica vigente l’intervento non potrà essere autorizzato, anche se eventualmente conforme con il nuovo piano adottato e in corso di approvazione, con la conseguenza che non vengono neppure in rilievo le misure di salvaguardia. Se manca la conformità agli strumenti urbanistici vigenti, infatti, la domanda va rigettata anche in presenza di una istanza conforme alla previsione urbanistica adottata;
  • diversamente, se il progetto, autorizzabile in base alla normativa vigente, non sia aderente a quella del piano in itinere, l’intervento non potrà essere negato, ma dovrà essere sospesa qualsiasi determinazione al riguardo, sino alla definitiva determinazione del nuovo strumento urbanistico, con la conseguenza che l’amministrazione comunale dovrà adottare la misura di salvaguardia ai sensi dell’art. 12 del D.P.R. n. 380/2001. Detta misura, pertanto, pur non consentendo immediatamente l’attività edificatoria attribuisce all’interessato una significativa utilità sostanziale – se pure non attuale – non ravvisabile nel provvedimento negativo, poiché definitivamente preclusivo della realizzazione della costruzione.

L’esigenza sottesa alle misure di salvaguardia è di carattere conservativo e deve essere individuata nella necessità che le richieste dei privati – fondate su una pianificazione ritenuta non più attuale – finiscano per alterare profondamente la situazione di fatto e, di conseguenza, per pregiudicare definitivamente proprio gli obiettivi generali cui invece è finalizzata la programmazione urbanistica generale, rendendo estremamente difficile, se non addirittura impossibile, l’attuazione del piano urbanistico in itinere (cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 20 gennaio 2014, n. 257).

Il carattere obbligatorio e vincolato. Nell’istituto di salvaguardia delineato dall’art. 12 convergono due interessi: quello del privato all’edificazione, secondo gli strumenti urbanistici vigenti, e quello pubblico, teso a realizzare l’effettività delle previsioni urbanistiche fin dal momento della loro adozione. Di qui il carattere obbligatorio e vincolato della misura, sia nella emanazione sia nel contenuto, una volta che venga accertata l’incompatibilità del progetto presentato con le norme dello strumento in itinere, ivi inclusa l’adozione di varianti. Sicché, in costanza di un procedimento di approvazione di un piano urbanistico o sue varianti, grava sull’amministrazione comunale l’onere di sospendere ogni determinazione sulla domanda di rilascio del permesso di costruire in attesa della definitiva approvazione del piano (cfr. ex pluribus, Cons. Stato, Sez. IV, 23 luglio 2009, n. 4660; Cons. Stato, Sez. IV, 28 febbraio 2005, n. 764; Cons. Stato, Sez. IV, 6 marzo 1998, n. 382).

La temporaneità. Proprio perché si traducono in un divieto della facoltà di edificare – giustificato dall’interesse pubblico che accompagna la pianificazione delle trasformazioni territoriali – le misure di salvaguardia non possono che avere natura eccezionale e temporanea, commisurabile al tempo ragionevolmente occorrente per il perfezionamento della nuova strumentazione urbanistica, vincolando così le amministrazioni al fine di evitare un incontrollato trascinamento in avanti della durata di tali misure impeditive (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 25 maggio 2002, n. 1682; Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 1999, n. 2496).

Il termine di durata delle misure di salvaguardia è stato fissato dal legislatore in 3 anni dalla data della delibera di adozione del piano – e protratto sino a 5 anni per quei Comuni che abbiano presentato il piano alla Regione per l’approvazione -. Detti termini hanno carattere perentorio, come ribadito pure dalla Corte Costituzionale con la decisione n. 109/2013 che, nel dichiarare l’incostituzionalità della legislazione regionale della Lombardia laddove aveva previsto una durata temporale delle misure di salvaguardai eccedente rispetto a quella fissata dalla norma statale, ha ribadito la natura temporanea e cautelativa di detto istituto, nonché la sua valenza mista: edilizia perché volta ad incidere sui tempi dell’attività edificatoria, ed urbanistica, perché finalizzata alla salvaguardia degli assetti urbanistici in itinere (Corte Cost. 29 maggio 2013, n. 109; cfr. pure Cons. Stato, Ad.Plen., 7 aprile 2008, n. 2).