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Piani per insediamenti produttivi: è possibile la retrocessione se permane l’interesse pubblico?

di Carmen Chierchia e Viviana De Napoli 

La validità decennale del piano per insediamenti produttivi (PIP) involge esclusivamente il procedimento espropriativo e non anche la destinazione d’uso delle aree dettate dallo strumento urbanistico attuativo, che rimangono pienamente operanti sino alla approvazione di un nuovo strumento di pianificazione urbanistica. Fintanto dure perdura l’interesse pubblico, le aree già espropriate non possono essere retrocesse ai precedenti proprietari.

E’ quanto ribadisce il Consiglio di Stato che, nella pronuncia del 9 gennaio 2019 n. 22, si è pronunciato su una questione avente ad oggetto la domanda di retrocessione parziale a fronte del mancato utilizzo, nel termine di decadenza decennale, da parte del Comune dei terreni espropriati in virtù di un piano per insediamenti produttivi.

I Piani per gli Insediamenti Produttivi. I PIP, disciplinati dall’art. 27 della L. 865/1977, sono strumenti di pianificazione che i Comuni possono utilizzare per lo sviluppo di insediamenti di carattere industriale, artigianale, commerciale e turistico nell’ambito di zone destinate ad insediamenti produttivi dai piani regolatori generali (o, anche, dai piani di fabbricazione) vigenti.

Il PIP, quindi, è uno strumento di attuazione avente contenuto di piano particolareggiato con finalità produttive in genere, che imprime sulle aree in esso incluse l’espropriazione da parte dell’amministrazione comunale.

La finalità di detto strumento urbanistico è duplice: da un lato, assicura un ordinato assetto urbanistico nella zona in cui andranno ad inserirsi i nuovi complessi produttivi, parimenti ad una adeguata collocazione di quelli già esistenti; dall’altro lato, esso ha la funzione di stimolare l’espansione produttiva nel territorio comunale, offrendo alle imprese – ad  un prezzo politico e previa espropriazione ed urbanizzazione – le aree occorrenti per l’insediamento dei loro impianti.

Pertanto, detto piano, come ribadito dalla costante giurisprudenza amministrativa, non è solo uno strumento di pianificazione urbanistica ma anche, e soprattutto, uno strumento di politica economica (cfr., inter alia, Cons. Stato, Sez. IV, 11 giugno 2015, n. 2878; Cons. Stato, Sez. IV, 5 marzo 2015, n. 1125).

Una delle caratteristiche dei PIP sta, quindi, nel potere dei Comuni di acquisire le aree del piano attraverso procedure espropriative.

Validità del PIP. Il PIP, una volta approvato – e notificato a tutti i proprietari delle aree incluse nello stesso – ha efficacia per dieci anni e valore di dichiarazione di pubblica utilità di tutte le trasformazioni urbanistiche in esso previste.

Dette aree, in seguito all’espropriazione, entrano a far parte del patrimonio indisponibile comunale con uno specifico vincolo pubblicistico, che consiste nella loro destinazione ad essere cedute in proprietà o in concessione di diritto di superficie ai soggetti legittimati, cui segue la stipula di una apposita convenzione atta a disciplinare gli oneri posti in capo all’acquirente/concessionario e le relative sanzioni in caso di inosservanza.

Nessuna norma impone l’attuazione contestuale dell’intero piano: ai sensi della legge, infatti, il Comune nel termine decennale è tenuto all’espropriazione di tutti i lotti cui è stato impresso il vincolo di destinazione d’uso, non anche a procedere alla assegnazione di tutti i lotti espropriati. La ragione risiede nel fatto che gli interventi produttivi necessitano di essere modulati nel tempo, rispondendo alle normali dinamiche di mercato che si sviluppano nel corso del decennio e si traducono nella graduale attuazione del piano.

Trascorsi i dieci anni, l’amministrazione non può disporre proroghe del PIP, ma può valutare l’opportunità di predisporre un nuovo strumento urbanistico rinnovando la propria scelta pianificatoria attuativa rimasta eventualmente inattuata.

Orbene, il termine decennale si riconnette all’attività espropriativa del Comune limitando nel tempo il potere ablatorio attribuito all’amministrazione.

La pronuncia. È proprio sulla corretta interpretazione della delimitazione temporale dell’efficacia del PIP e sulla mancata assegnazione (e relativa utilizzazione) delle aree espropriate per finalità produttive che si inserisce la vicenda oggetto della pronuncia in analisi.

I ricorrenti, infatti, lamentavano la mancata restituzione delle aree espropriate da parte del Comune – a seguito di specifica domanda di retrocessione parziale – nonostante la loro appurata inutilizzazione allo scadere del termine decennale del PIP.

Il rifiuto del Comune a restituire le aree risiedeva nella permanenza dell’interesse pubblico alla inservibilità delle aree, interesse che sarebbe perdurato nonostante il decorso del termine decennale dello strumento urbanistico di attuazione.

Si ricorda, infatti, che la retrocessione parziale, disciplinata dall’art. 47 del D.P.R. 327/2001, si configura quando i beni espropriati non sono utilizzati secondo la prevista destinazione e, secondo le valutazioni dell’amministrazione, essi non sono più necessari alla realizzazione dell’opera nel suo complesso.

Il Comune, nella fattispecie in analisi, ha invero, ribadito l’interesse pubblico allo sviluppo dei lotti espropriati.  Tale interesse, infatti, è stato ribadito anche nella pianificazione successiva (i.e. dal piano regolatore generale del Comune) che – evidenzia il Consiglio di Stato – non è stata impugnata dai ricorrenti.

Il Consiglio di Stato ha sottolineato che è proprio il mantenimento dell’interesse pubblico la ragione che rende legittimo il diniego del Comune a retrocedere le aree ai precedenti proprietari.

Secondo i Giudici, infatti, la scelta dell’Amministrazione di ritenere persistente l’utilità del mantenimento della proprietà dei terreni espropriati e, quindi, di non dichiarare gli stessi “inservibili”, non solo si presenta non manifestamente illogica o basata su un travisamento dei fatti, ma risulta doverosamente effettuata per ragioni di coerenza con gli strumenti urbanistici nel frattempo approvati.

I principi. La vicenda oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato è divenuta occasione per il giudice amministrativo per ribadire alcuni principi connessi ai PIP:

  • termine decennale: così come per i piani particolareggiati anche per i piani per insediamenti produttivi, con il decorso del termine di decadenza è il potere espropriativo che si consuma in ossequio al pacifico principio che nega la possibilità di imporre vincoli espropriativi a tempo indeterminato;
  • assegnazione e costruzione:  nel rispetto del termine decennale l’amministrazione comunale è tenuta ad espropriare i lotti che saranno oggetto di assegnazione alle imprese e non anche a procedere, entro lo stesso termine, alla assegnazione di tutte le aree espropriate. Questo significa che una volta decorso il termine di dieci anni, il Comune non potrà ulteriormente espropriare, ma le aree che rientrano nel perimetro del PIP continuano ad essere disciplinate dalla relativa disciplina di zona, in termini di destinazione ad uso pubblico, di allineamenti, di prescrizioni di ordine generale e quant’altro attenga all’armonico assetto del territorio, trattandosi di misure che devono rimanere inalterate fino all’intervento di una nuova pianificazione, non essendo la stessa condizionata all’eventuale scadenza di vincoli espropriativi o di altra natura.Pertanto, nelle aree già espropriate, o comunque nella disponibilità degli attuatori, il Comune ha la possibilità di continuare a rilasciare le concessioni edilizie per la costruzione delle opere del PIP.
  • retrocessione: a corollario di quanto sopra, fintanto che perdura l’interesse pubblico, le aree già espropriate potranno ancora essere oggetto di costruzione degli insediamento produttivi e, quindi, le stesse non potranno essere oggetto di retrocessione ai precedenti proprietari.

La finalità dell’art. 27 della L. 865/1997 è quella, infatti, di fare acquisire al patrimonio comunale le aree qualificate come occorrenti per il soddisfacimento degli individuati interessi pubblici. Giungendo a conclusioni diverse, invero, l’amministrazione verrebbe illogicamente e irragionevolmente a trovarsi nella condizione di riattivare procedimenti volti a disporre nuove e ulteriori procedure di esproprio per dotarsi di beni che sono già parte del proprio patrimonio indisponibile, a discapito dei generali principi di economicità ed efficienza cui è ispirata l’intera attività amministrativa.