La Legge Regionale Lombarda sul consumo di suolo, la n. 31/2014 (nella versione precedente alle modifiche introdotte nel 2017), sarà sottoposta al vaglio di costituzionalità. E’ quanto ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5711/2016 che ha valutato l’appello proposto dal comune di Brescia contro la sentenza del Tar Lombardia, Sez. di Brescia, n. 47 del 17 gennaio 2017.
Il Tar Brescia era stato chiamato a decidere sulla legittimità di una delibera comunale che, approvando una variante urbanistica, mutava la destinazione di un’area prima rientrante in un ambito di trasformazione.
Per tale area, nel vigore della norma transitoria della LR 31/2014, i relativi proprietari avevano presentato istanza di piano attuativo, consolidando quindi il proprio diritto a mantenere la potestà edificatoria nell’area nonostante l’entrata in vigore della norma regionale che disciplinava la riduzione del consumo del suolo. Infatti, la norma transitoria della legge regionale permetteva ai proprietari di presentare entro 30 mesi dall’entrata in vigore della LR 31/2014 istanza di piano attuativo che avrebbe quindi consentito loro di realizzare l’intervento edificatorio su una terreno non già urbanizzato. Ma, successivamente al deposito dell’istanza, il comune di Brescia approvava una variante urbanistica che cancellava del tutto i diritti edificatori nell’area, nonostrante il dettato della LR 31/2014 che faceva salve le istanze di piano attuativo presentate nei 30 mesi sopra citati. Da qui il contenzioso che ha portato alla sentenza in commento.
La legge lombarda sul consumo di suolo. La Regione Lombardia è stata la prima regione italiana a dotarsi di una legge relativa alla disciplina del consumo di suolo. Infatti, mentre il disegno di legge nazionale è ancora in discussione al Senato e solo la Regione Veneto ha approvato la sua legge sul consumo del suolo (e l’ha fatto nel corso del 2017), in Lombardia, già dal 2014 vigevano le norme per la limitazione dell’uso del suolo. Lo scopo della norma è quello di orientare gli interventi edilizi prioritariamente verso le aree già urbanizzate, degradate o dismesse. Questo obiettivo viene perseguito attraverso interventi alla LR 12/2005 (la Legge per il governo del territorio in Lombardia) e misure incentivanti.
L’attenzione del Consiglio di Stato si è però focalizzata sulla norma transitoria di questa legge, l’articolo 5. Questa previsione stabilisce, in buona sostanza, una fascia temporale in cui le disposizioni della legge, e in particolare il divieto di consumo di suolo, non operano immediatamente. La L.R. 31/2014 ha introdotto, infatti, un criterio di gradualità dell’applicazione della norma statuendo la necessità dell’adeguamento del Piano territoriale regionale (Ptr) prima, dei Piani territoriali di coordinamento provinciale (e il Piano territoriale metropolitano) poi, ai precetti della legge sul consumo di suolo. Solo dopo l’integrazione dei suddetti piani, i comuni adegueranno i Pgt, in occasione della prima scadenza del documento di piano.
E cosa succede nel frattempo? Il comma 4 dell’art. 5 della LR 31/2014 stabiliva “Fino all’adeguamento di cui al comma 3 e, comunque, fino alla definizione nel Pgt della soglia comunale del consumo di suolo, di cui all’articolo 8, comma 2, lettera b ter), della l.r. 12/2005, come introdotto dall’articolo 3, comma 1, lettera h), della presente legge, i comuni possono approvare unicamente varianti del Pgt e piani attuativi in variante al Pgt, che non comportino nuovo consumo di suolo, diretti alla riorganizzazione planivolumetrica, morfologica, tipologica o progettuale delle previsioni di trasformazione già vigenti, per la finalità di incentivarne e accelerarne l’attuazione, esclusi gli ampliamenti di attività economiche già esistenti, nonché quelle finalizzate all’attuazione degli accordi di programma a valenza regionale. Fino a detto adeguamento sono comunque mantenute le previsioni e i programmi edificatori del documento di piano vigente”.
La previsione del comma 4 è però oggi cambiata a opera della L.R. 16/2017. Come abbiamo già avuto modo di osservare, mentre nella previgente versione della Legge sul consumo di suolo i comuni potevano apportare varianti limitate al Pgt, con le modifiche apportate dalla L.R. 16/2017, fino all’adeguamento alla pianificazione superiore i comuni potranno approvare varianti generali o parziali del documento di piano e piani attuativi in variante al documento di piano, assicurando un bilancio ecologico del suolo non superiore a zero (Il bilancio ecologico è la differenza tra la superficie agricola che viene trasformata per la prima volta dagli strumenti di governo del territorio e la superficie urbanizzata e urbanizzabile che viene contestualmente ridestinata nel medesimo strumento urbanistico a superficie agricola. Se il bilancio ecologico del suolo è pari a zero, il consumo di suolo è pari a zero).
Quindi, la disciplina oggetto di analisi da parte del Consiglio di Stato è cambiata, ma i giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto ancora sussistente l’interesse alla decisione atteso che la L.R. 16/2017 non ha effetti retroattivi. In altri termini, le fattispecie regolate dalla prima versione della L.R. 31/2014 restano ancora disciplinate da quella norma. Ne consegue, quindi, che sussiste l’interesse a verificare se la disposizione secondo cui i comuni erano limitati nella approvazione delle varianti ai propri PGT fosse o meno legittima e compatibile con i precetti della Costituzione.
Ciò detto, con la sentenza in commento, il Consiglio di Stato ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di costituzionalità relativa al comma 4 e 9 dell’articolo 5 della LR 31/2014 in quanto contrastanti con il principio di sussidiarietà e con quello di riserva alla legislazione esclusiva statuale delle funzioni fondamentali del comune (art.117, comma 2, lett. p), della Costituzione).
Il principio di sussidiarietà. Si tratta del principio, entrato nel nostro ordinamento con la L. 59/1997 e poi costituzionalizzato con la legge costituzionale n. 3/2001 secondo cui le esigenze dei cittadini devono essere valutate e disciplinate in primo luogo dall’ente più vicino a questi, ossia il comune. L’articolo 118 della Costituzione stabilisce, infatti, che “Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a province, città metropolitane, regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza”.
E’ quindi il comune il centro delle scelte amministrative che riguardano il suo territorio. E lo è a maggior ragione nella materia del governo del territorio.
Pertanto, secondo i giudici del Consiglio di Stato la disposizione transitoria della L.R. 31/2014 nella sua formulazione originaria collide con l’articolo 118 della Costituzione in quanto, pur essendo la funzione amministrativa in materia urbanistica affidata in termini generali ai comuni della Lombardia, “tuttavia viene direttamente compiuta dal legislatore regionale anziché dalle amministrazioni comunali una scelta di particolare rilievo, relativa alla salvaguardia (anche se per un periodo temporale limitato) di prescrizioni contenute in atti amministrativi di natura urbanistica, emanati in precedenza dai comuni medesimi”.
In altri termini, la previsione secondo cui fino all’adeguamento degli strumenti pianificatori sovraordinati (Ptr, Ptcp) i comuni fossero tenuti a mantenere ferme le proprie previsioni dei Pgt sottraeva ai comuni la funzione amministrativa urbanistica a questi spettante.
“Con tale generale previsione, a contrario, si inibisce del tutto all’ente locale di esercitare la potestà di adottare modifiche al proprio Documento di piano vigente (quest’ultimo costituente la parte più rilevante e qualificante del Pgt) ed in concreto se ne determina il contenuto, “congelandolo” alla data di emanazione della legge regionale suddetta”. Sono questi, quindi, i principi su cui si fonda la decisione del Consiglio di Stato di rimettere la decisione alla Corte Costituzionale.