Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente

Il cambio di destinazione d’uso sotto i riflettori

La disciplina del mutamento di destinazione d’uso di un immobile è, in questi giorni, sotto l’attenzione degli operatori del settore che si interrogano su quale sia il titolo edilizio idoneo all’esecuzione di lavori preordinati al cambio di destinazione.

Con la legge 96 del 21 giugno 2017 (di conversione in legge del decreto legge 50/2017, cd. Manovra correttiva) il legislatore, infatti, ha messo  mano alle definizioni del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001) per ovviare ad una impasse generatasi nella pratica.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 6873 del 14 febbraio 2017,  ricordando il principio per cui il mutamento di destinazione d’uso attraverso la realizzazione di opere edilizie configura ristrutturazione edilizia in quanto l’esecuzione dei lavori, anche se di modesta entità, porta pur sempre alla creazione di un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, ne fa discendere la conseguenza che “l’intervento rimane assoggettato, pertanto, al previo rilascio del permesso di costruire con pagamento del contributo di costruzione dovuto per la diversa destinazione”.

L’assioma descritto nella sentenza (mutamento con opere = ristrutturazione edilizia = permesso di costruire) ha generato confusione tra gli operatori. In particolare, la Corte ha continuato statuendo che “non ha rilievo l’entità delle opere eseguite allorché si consideri che la necessità del permesso di costruire permane per gli interventi (i) di manutenzione straordinaria, con modifica delle destinazioni d’uso, (ii) di restauro e risanamento conservativo in caso
di mutamento degli elementi tipologici dell’edificio. (…) gli interventi anzidetti devono considerarsi di nuova costruzione. Ove il necessario permesso di costruire non sia stato rilasciato, sono applicabili le sanzioni amministrative (…)”.

Cosa determina la pronuncia della Cassazione? Che se il mutamento di destinazione d’uso resta saldamente ancorato alla nozione di ristrutturazione:

  1. nelle zone del territorio ove gli strumenti di pianificazione urbanistica generale non consentono la ristrutturazione, non sarà possibile mutare la destinazione d’uso degli immobili;
  2. anche ove la zonizzazione urbanistica consentisse la ristrutturazione, se la qualificazione dell’intervento non fosse stata conforme al principio sopra richiamate (es. un intervento di opere e conseguente mutamento di destinazione d’uso) fosse stato qualificato dal Comune come restauro e assoggettato a SCIA, quel titolo edilizio – e i conseguenti lavori – non sarebbero legittimi.

Il punto. Per capire cosa sta succedendo in queste settimane vengono quindi in rilevo (1) la nozione di mutamento di destinazione d’uso (2) la qualificazione dell’intervento edilizio con cui si realizza il mutamento di destinazione (3) il tipo di permesso che occorre ottenere per eseguire correttamente l’intervento e, quindi, il cambio.

Mutamento di destinazione d’uso. Costituisce mutamento di destinazione d’uso urbanisticamente rilevante, secondo l’art. 23 ter del DPR 380/2001, “ogni forma di utilizzo dell’immobile o della singola unità immobiliare diversa da quella originaria, ancorché non accompagnata dall’esecuzione di opere edilizie, purché tale da comportare l’assegnazione dell’immobile o dell’unità immobiliare considerati ad una diversa categoria funzionale tra quelle sotto elencate: a) residenziale;
a-bis) turistico-ricettiva; 
b) produttiva e direzionale; 
c) commerciale; 
d) rurale”.

Ora, spesso il cambiamento della destinazione d’uso di un immobile avviene previa esecuzione di opere edilizie di un immobile. Si pensi ad esempio ad una residenza che muta la propria destinazione in albergo: sarà necessario apportare all’immobile tutte le modifiche necessarie per renderlo una struttura ricettiva.

Categoria edilizia. Quindi, la domanda è: le opere che occorrono per cambiare la destinazione d’uso di un immobile in quale categoria giuridica ricadono? La Cassazione, come visto, è stata chiara nell’attribuire le opere alla categoria della ristrutturazione edilizia, necessitando quindi del permesso di costruire per la sua corretta autorizzazione.

La manovrina. La L. 96/2017 ha modificato, ampliandola, la nozione di restauro e risanamento conservativo stabilendo che rientrano in questa categoria “gli interventi edilizi rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali strutturali dell’organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previse dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi.”

In altri termini, includendo la possibilità di eseguire un mutamento di destinazione d’uso anche nell’ambito degli interventi di restauro e risanamento conservativo diventa possibile (a) procedere all’esecuzione degli interventi che comportano mutamento di destinazione d’uso anche nelle zone del territorio ove gli strumenti locali non consentano la ristrutturazione e (b) autorizzare l’esecuzione degli interventi che comportano mutamento di destinazione d’uso con SCIA (ove permesso dagli strumenti locali).