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La storica sentenza della Corte Costituzionale sull’imposta di registro nelle operazioni straordinarie

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La Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 158 del 21 luglio 2020 resa in una vicenda contenziosa seguita dal nostro studio, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 20, D.P.R. 131/1986 (Tur) sollevata dalla Corte di Cassazione con l’Ordinanza n. 23549 del 23 settembre 2019, statuendo definitivamente la legittimità della tassazione fissa (oggi di 200 euro) e non di quella proporzionale nei c.d. share deal.

Gli impatti della pronuncia sono rilevantissimi sia pro-futuro, in termini di certezza del diritto per tutto il mondo del M&A, sia per il passato, con l’Agenzia delle entrate che si vedrà costretta ad abbandonare i contenziosi in essere per un controvalore complessivo di circa 1 miliardo di euro.

In particolare, la Corte di Cassazione aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale, sulla base degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione alle modifiche introdotte alla citata previsione dal comma 87 dell’art. 1 della Legge di bilancio 2018 e dal comma 1084 dell’articolo 1 della Legge di bilancio 2019, in esito alle quali è stato chiarito che nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, si devono prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso, prescindendo da quelli extratestuali e dagli atti ad esso collegati.

La principale argomentazione sviluppata dai giudici di legittimità si incentrava sulla premessa che “nella disciplina dell’imposta di registro quello della prevalenza della sostanza sulla forma è principio imprescindibile ed anche storicamente radicato”. Principio – questo – che, in estrema sintesi, secondo la Corte di Cassazione sarebbe risultato ingiustificatamente compresso dal novellato Articolo 20, ove il legislatore, negando rilevanza al collegamento negoziale e agli elementi extratestuali, avrebbe fatto cattivo uso della propria discrezionalità contravvenendo all’esigenza di tassare la forza economica e la capacità contributiva espresse dall’ “operazione”.

Nel ritenere non fondato il vizio denunciato, la Corte ha recepito in toto le nostre argomentazioni difensive evidenziando che il legislatore gode di una ampia discrezionalità nell’individuare i fatti suscettibili di essere assoggettati a tassazione. In questo contesto, egli ben può decidere di assoggettare ad imposizione i singoli atti che si inseriscono in un’operazione contrassegnata da più fasi, senza prendere in considerazioni eventuali negozi collegati o elementi extratestuali.

Inoltre, la Corte ha evidenziato le incoerenze e gli effetti distorsivi che deriverebbero all’interno dell’ordinamento, specie a fronte dell’introduzione dell’Articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000, qualora l’interpretazione evolutiva dell’articolo 20, avvalorata dalla Cassazione, dovesse avere seguito.

Tale interpretazione, infatti, consentirebbe, all’Amministrazione finanziaria, da un lato, di operare in funzione antielusiva senza applicare le garanzie del contraddittorio endoprocedimentale stabilite in favore del contribuente e, dall’altro, di svincolarsi da ogni riscontro di “indebiti” vantaggi fiscali e di operazioni “prive di sostanza economica”, precludendo di fatto al medesimo contribuente ogni legittima pianificazione fiscale (invece pacificamente ammessa nell’ordinamento tributario nazionale e dell’Unione europea).

Al contrario, di alcun vizio di legittimità costituzionale sarebbe affetto secondo la Corte, il novellato Articolo 20 in quanto:

  • con esso il legislatore non avrebbe fatto altro che riaffermare la natura di “imposta d’atto” dell’imposta di registro, precisando l’oggetto dell’imposizione in coerenza con la struttura di un prelievo sugli effetti giuridici dell’atto presentato per la registrazione;
  • l’Amministrazione finanziaria potrebbe prendere in considerazione gli elementi extra testuali estranei al testo degli atti e gli effetti economici derivanti dal collegamento negoziale solo per contestare schemi elusivi ai sensi dell’Articolo 10-bis della L. 212/2000.

Pertanto, conclude la Corte, il novellato Articolo 20 non si pone in contrasto né con il principio di capacità contributiva, né con quelli di ragionevolezza ed eguaglianza tributaria, con conseguente non fondatezza delle questioni sollevate dalla Corte di Cassazione.

Gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale

La “storica” sentenza pone fine ad una delle questioni più controverse in materia di imposta di registro e più in generale del nostro diritto tributario. Questione che per decenni è stata fonte di incertezze interpretative e applicative che si sono manifestate sui rapporti tra il citato Articolo 20 e il tema dell’abuso del diritto e dall’altro lato, a condizionare ogni legittima pianificazione fiscale da parte del contribuente. Il tutto a discapito della certezza del diritto e del buon funzionamento dell’apparato giudiziario.

Grazie alla sentenza l’Articolo 20 riacquista finalmente la propria identità storica e vengono definitivamente meno le incertezze e le tante contraddizioni che ruotavano intorno alla sua portata applicativa: da adesso in poi la “causa reale”, il “collegamento negoziale”, così come gli “elementi extratestuali” potranno assumere rilievo esclusivamente ai fini dell’applicazione della generale disciplina antiabuso, oggi racchiusa all’interno dell’Articolo 10-bis della L. 212/2000.Così decidendo, la Corte ha altresì restituito fiducia ai tanti investitori che nel corso degli anni erano stati colpiti o anche solo intimoriti dalla prassi operativa dell’Amministrazione finanziaria sempre più avvezza a riqualificare, sulla base di una pretesa “causa concreta”, le operazioni di riorganizzazione societaria (caso paradigmatico è il conferimento di ramo di azienda e la successiva cessione delle partecipazioni) in termini di unitaria “cessione di azienda”. In questi casi, l’Amministrazione finanziaria era solita applicare l’imposta di registro in misura proporzionale del 3% invece di quella in misura fissa di 200 Euro.

Novità e azioni da intraprendere

Queste, in sintesi, le novità e le possibili azioni da intraprendere alla luce della sentenza:

  • le operazioni di riorganizzazione societaria e di M&A godono di maggiore certezza del diritto;
  • la normativa antiabuso, oggi contenuta nell’art. 10-bis, deve sempre applicarsi con le garanzie ivi previste, in primis garantendo il contraddittorio preventivo;
  • la pianificazione fiscale è legittima e le censure antiabuso: (i) non si applicano alle imposte indirette fuori dai casi previsti; (ii) nel contestarle il fisco non può esimersi dalla specifica individuazione dei vantaggi fiscali indebiti;
  • l’Agenzia dovrà abbandonare tutti i contenziosi in essere sull’art. 20 del T.U. registro in cui la propria posizione contrasta con i chiarissimi principi espressi dalla Corte; in attesa che ciò avvenga, come dovrebbe, in autonomia, i contribuenti, per accelerare la cessazione della materia del contendere, potranno presentare apposite istanze di annullamento in autotutela degli atti oggetto di giudizio e chiedere a rimborso le somme versate in pendenza di lite.