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IMU a carico del conduttore? Dalle Sezioni Unite una certificazione di compatibilità con l’art. 53 della Costituzione

Imposte e tasse sulla proprietà possono essere poste a carico del conduttore se l’accollo non abbia per oggetto direttamente il tributo ma sia una componente aggiuntiva del canone

di Francesco Calabria ed Elena Granati

Una recentissima pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (8 marzo 2019, n. 6882), componendo uno storico contrasto giurisprudenziale, ha di fatto certificato la compatibilità con la norma costituzionale in tema di capacità contributiva (art. 53) di una clausola, contenuta in un contratto di locazione ad uso non abitativo, mediante il quale le parti avevano pattuito la traslazione delle imposte sulla proprietà (ICI e poi IMU) dal locatore al conduttore.

Si tratta di un arresto giurisprudenziale di notevolissima importanza, che fornisce certezza in relazione ad una tipologia di clausole tradizionalmente di discussa compatibilità con l’ordinamento giuridico nazionale e che segna un tassello importante verso la possibilità di stipulare contratti di locazione sempre più in linea con lo standard c.d. “triple net“, ampiamente diffuso nella prassi commerciale internazionale.

Il caso

Un primario operatore internazionale della GDO agisce in giudizio, davanti al Tribunale di Prato, per ottenere la dichiarazione di nullità del paragrafo 7.2  di un contratto di locazione avente ad oggetto un centro commerciale in Toscana del quale lo stesso è parte, in veste di conduttore. La clausola “incriminata” così recita: “7.2 Tasse. Nel corso dell’intera durata del presente Contratto: (i) il Conduttore si farà carico di ogni tassa, imposta e onere relativo ai Beni Locati ed al presente Contratto tenendo conseguentemente manlevato il Locatore relativamente agli stessi; (ii) il Locatore sarà tenuto al pagamento delle tasse, imposte e oneri relativi al proprio reddito.“.

Il contratto di locazione in questione si inseriva nel contesto di una più ampia operazione di sale and lease back, nell’ambito della quale l’operatore della GDO in questione, a scopo lato sensu di finanziamento, aveva stipulato – secondo uno schema consolidato – un accordo quadro con un investitore immobiliare, che prevedeva la vendita di una serie di asset ad uso commerciale (costituenti punti vendita dell’operatore precedentemente operati in regime di proprietà), e il contestuale mantenimento della detenzione degli stessi, in regime di locazione, sulla base di un modello contrattuale allegato all’accordo quadro, senza soluzione di continuità (al fine di non pregiudicare in alcun modo l’efficacia delle relative licenze commerciali).

Il conduttore, in particolare, lamentava la nullità della prima parte di tale clausola, per contrasto con gli artt. 2 e 53 della Costituzione, l’art. 1418 Cod. Civ., nonché gli artt. 9, 41 e 79 della Legge 392/1978. Chiedeva dunque, quale conseguenza della dichiarazione di nullità della clausola, che il locatore fosse condannato alla restituzione di quanto corrisposto in ragione della disposizione nulla. È agevole immaginare le conseguenze patrimoniali di un’eventuale declaratoria di nullità sulle aspettative di rendimento dell’investitore, anche solo limitatamente ai contratti di locazione oggetto dell’operazione da cui la pronuncia in commento prende le mosse.

La controparte si costituiva in giudizio, resistendo e, con sentenza 365/2015, il Tribunale di Prato rigettava la domanda attrice, sancendo la legittimità della clausola. Al rigetto in primo grado segue il ricorso del conduttore alla Corte d’Appello di Firenze, avente il medesimo esito, cui – come da copione – fa seguito il ricorso in Cassazione. A questo punto la terza sezione civile, mediante ordinanza interlocutoria (Sez. III, ord. 28 novembre 2017, n. 28437) rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, con il compito di verificare la sussistenza o meno di un limite all’autonomia negoziale – che, ove sussistente, sarebbe presidiato dalla sanzione della nullità – in relazione ad un accordo esplicito di traslazione di imposta patrimoniale posto in un contratto di locazione ad uso non abitativo.

La pronuncia della Sezioni Unite

Le Sezioni Unite sintetizzano il quesito di diritto loro sottoposto come segue: “se l’obbligo costituzionalmente rilevante di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva abbia un significato esclusivamente oggettivo – nel senso di obbligo ad adempiere a quanto è giustificato dalla capacità contributiva – oppure anche soggettivo – nel senso che l’adempimento debba essere compiuto non solo oggettivamente in modo completo, ma altresì dal soggetto che per legge ne ha l’obbligo -, escludendosi quindi il trasferimento dell’obbligo ad un soggetto diverso“.

Come si vede, dunque, la questione trascende il mondo – per quanto vasto e variegato – della contrattualistica in materia di locazione, andando a toccare uno dei principi generali dell’ordinamento. Può, dunque, l’autonomia negoziale incidere sull’individuazione del soggetto passivo di un tributo, neutralizzando gli effetti del principio di capacità contributiva?

La risposta data dalle Sezioni Unite è affermativa e prende le mosse da due pronunce (già queste a Sezioni Unite) rese nel 1985, in tema di mutuo fondiario[1], che erano arrivate a conclusioni pressoché opposte: la prima, considerava come vietato (e quindi nullo) il patto con il quale un soggetto, anche senza effetti nei confronti dell’Erario, avesse riversato su un altro, di fatto, il peso della propria imposizione tributaria (perlomeno a livello di imposte dirette); viceversa la seconda pronuncia limitava la nullità del patto traslativo esclusivamente al caso in cui effettivamente l’imposta non venisse corrisposta al fisco dal percettore del reddito, andando ad escludere la nullità di tali pattuizioni nell’ipotesi in cui le stesse abbiano la funzione di integrare il “prezzo” della prestazione negoziale.

Ed è proprio prendendo spunto da quest’ultima pronuncia – ripresa più volte nella giurisprudenza successiva – che la Corte arriva a consolidare l’orientamento giurisprudenziale maggiormente possibilista, (ri)affermando il principio di diritto per cui il patto traslativo d’imposta “è nullo per illiceità della causa contraria all’ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non venga corrisposta al fisco dal percettore del reddito”; l’autonomia privata, pertanto, non può alterare i connotati delle imposte dirette, né prevedere esoneri di responsabilità con effetto nei confronti del Fisco; è viceversa lecito quel patto, relativo alle imposte dirette, non opponibile al Fisco, che le parti abbiano considerato quale elemento economico dell’operazione.

Venendo alla decisione sul caso di specie, le Sezioni Unite qualificano la clausola contenuta nel paragrafo 7.2 del contratto di locazione, sopra riportata, come voce integrativa del canone di locazione, concorrendo a determinare l’onere economico complessivo da sostenersi da parte del conduttore. Tale clausola risulta correttamente interpretata nella pronuncia della Corte d’Appello, alla stregua del principio di diritto sopra enunciato. Il patto di traslazione dell’ICI-IMU al conduttore, in quanto afferente alla determinazione dell’ammontare del canone, non è soggetto alla legislazione vincolistica (Legge 392/1978) e la volontà delle parti nel senso di volersi vincolare a quello specifico patto risulta chiaramente dalla ricostruzione delle trattative tra esse intercorse, tenuto anche conto del contesto dell’operazione di sale & lease back nel quale la pattuizione è maturata.

Considerazioni

Abbiamo già osservato in apertura come la portata della pronuncia in commento sia rilevantissima.

Alcune riflessioni “a caldo” meritano di essere svolte:

  1. di fondamentale importanza, ad avviso di chi scrive, è lo scrutinio di legittimità operato dalla Cassazione con riferimento all’art. 79 della Legge 392/1978. Essendo il contratto di locazione oggetto del giudizio stipulato nel 2003 – e, pertanto, ben prima della liberalizzazione delle “grandi locazioni” operata dal Decreto Sblocca-Italia, è possibile affermare che una clausola di ribaltamento dell’IMU al conduttore sia praticabile anche nei contratti tuttora sottoposti in toto al regime protezionistico della Legge 392/1978 (purché l’integrazione del canone venga ab origine pattuita tra le parti);
  2. data la portata generale della pronuncia delle Sezioni Unite, è possibile affermare che il principio di diritto in essa affermato possa valere anche per le locazioni ad uso abitativo, perlomeno nei contratti a canone libero (più complicato è ipotizzarne l’applicabilità nelle locazioni a canone calmierato, in quanto in tal caso l’ammontare dell’imposta addebitato al conduttore eccederebbe il tetto massimo del canone applicabile). Una tale conclusione potrebbe rappresentare un potente incentivo alla nascente industria dei serviced apartments, ove il costo fiscale delle locazioni abitative – salvo limitati casi per definizione al di fuori dell’ambito IVA e, quindi, non recuperabile dall’operatore immobiliare – potrebbe essere parzialmente recuperato mediante traslazione di IMU e TASI ai conduttori finali;
  3. le Sezioni Unite non prendono chiaramente posizione su un tema pratico-operativo di non poco momento, ossia se la “rifatturazione” dell’ICI-IMU dal locatore al conduttore, effettuata senza applicazione dell’IVA, fosse stata correttamente operata. Da un lato, infatti, la Cassazione riporta in motivazione ampi stralci della motivazione della pronuncia d’appello, che di fatto si disinteressa della questione, rinviando ad eventuali determinazioni delle autorità fiscali in materia; dall’altro, nel momento in cui qualifica il riaddebito dell’imposta al conduttore in termini di componente integrativa del canone, sarebbe lecito attendersi lo stesso trattamento IVA della componente – per così dire – “principale” del canone medesimo. È auspicabile che sul punto intervengano ulteriori chiarimenti, di giurisprudenza o di prassi tributaria, al fine della corretta fatturazione di questa tipologia di oneri al conduttore.

 

[1] La questione della traslazione d’imposta era stata appunto affrontata nel 1985, tuttavia con esiti opposti: la sentenza n. 5 del 1985 statuiva la nullità della clausola con cui si conveniva la traslazione a carico del mutuatario di quanto il mutuante è tenuto a versare all’erario a titolo di IRPEG e ILOR, ai sensi dell’art. 1418, 1° co. Codice Civile, nonché dell’articolo 53 Cost.; viceversa, nella successiva sentenza n. 6445/1985, le Sezioni Unite affermarono che il patto traslativo d’imposta è nullo per illiceità della causa contraria all’ordine pubblico solo quando esso comporti che effettivamente l’imposta non viene corrisposta al fisco dal percettore del reddito (ipotesi che si verifica in caso di c.d. rivalsa facoltativa, non anche nel caso in cui l’imposta sia stata realmente e puntualmente pagata dal contribuente al fisco e, dunque, qualora l’obbligazione di cui si stipula l’accollo non abbia per oggetto direttamente il tributo, né miri a stabilire che debba essere pagato da soggetto diverso dal contribuente).