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Locazioni, la questione della legittimità del canone a scaletta

di Giovanni Pediliggieri e Lucia Verdacchi

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 22908/2016, ha affermato che i canoni di locazione determinati in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo sono legittimi.

Spesso accade nella prassi che le parti prevedano, già al momento della sottoscrizione del contratto di locazione ad uso non abitativo, un aumento del valore reale del canone nel corso del rapporto: il cd. “canone a scaletta”.

Per comprendere appieno la portata della sentenza citata giova ricordare che la legittimità di siffatte clausole contrattuali è stata (e, in parte, è ancora) oggetto di un’interpretazione restrittiva da parte della giurisprudenza.

A tale riguardo, è opportuno sottolineare come la legge n. 392/1978, che disciplina le locazioni commerciali, non contenga alcuna prescrizione in merito alla determinazione del canone, che resterebbe nella libera determinazione delle parti. La stessa legge prevede soltanto, all’articolo 32, che l’aggiornamento periodico del canone non possa aver luogo in misura superiore al 75% (100% per i contratti di durata superiore a 6 anni, ovvero a 9 anni in caso di immobili adibiti ad attività alberghiera) dell’indice dei prezzi al consumo calcolato dall’Istat per le famiglie di operai e impiegati per ciascuna annualità di rapporto.

Pertanto, vanno ritenute nulle per il combinato disposto degli articoli 32 e 79 della legge n. 392/1978 quelle clausole che prevedono un canone differenziato nel tempo qualora siano dirette a neutralizzare esclusivamente gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo così i limiti quantitativi di cui all’articolo 32 .

Ciò posto, in assenza di intenti elusivi dei limiti dell’articolo 32 della legge 392/1978, rimane da capire quando e sulla base di quali condizioni possano ritenersi valide le clausole contrattuali che prevedono un canone a scaletta.

Nell’ambito della giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, prevale l’orientamento tradizionale, sviluppatosi a partire dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 6695/1987, secondo cui le clausole che prevedono un canone a scaletta sono legittime soltanto laddove la determinazione differenziata del canone sia giustificata sulla base di elementi oggettivi e predeterminati, idonei ad influire sull’equilibrio economico degli interessi contrattualmente disposti. Pertanto, ove le parti non abbiano collegato i diversi importi di canone previsti nel corso del tempo ad un vantaggio del conduttore ancorato a parametri predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio contrattuale, la clausola sarebbe da considerarsi nulla ai sensi dell’articolo 79 della legge 392/1978.

Contro tale orientamento tradizionale è recentemente intervenuta la Sezione 3a della Corte di Cassazione con la sentenza n. 22908/2016. Il collegio ha infatti affermato che detto orientamento è frutto di una errata lettura della sentenza n. 6695/1987. Secondo l’interpretazione della Sezione 3a, attraverso la predetta sentenza del 1987 la Corte non avrebbe imposto ai contraenti l’onere preliminare di collegare gli aumenti del canone ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale ma avrebbe in realtà riaffermato il principio di libera determinazione del canone e quindi la legittimità del canone a scaletta (sempre a condizione che le parti non abbiano perseguito lo scopo di eludere l’articolo 32 di cui sopra).

Con la sentenza n. 22908/2016, la Corte ha quindi affermato che è da ritenersi legittima la clausola in cui venga previsto un canone in misura differenziata e crescente nel tempo a prescindere dal fatto che le parti abbiano o meno ancorato il canone a scaletta ad elementi oggettivi e predeterminati incidenti sull’equilibrio contrattuale. La Corte ha infatti esposto il seguente principio di diritto:

Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l’iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto; e ciò, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell’intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l’entità del canone all’incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull’equilibrio economico del sinallagma.

La Corte ha altresì precisato che la legittimità della clausola deve essere in ogni caso esclusa nel caso in cui risulti che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall’articolo 32 della legge 392/1978.

Se la questione sulla valutazione della legittimità del canone a scaletta sembrava esser stata chiarita in forza della predetta sentenza, la Sezione 3a della Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sul punto, adottando decisioni diametralmente opposte, che richiamano infatti l’orientamento tradizionale e quindi la necessità di identificare nel contratto elementi oggettivi e preordinati a cui ancorare gli aumenti del canone (Cass. 23195/2016, Cass. 6474/2017).

Il contrasto giurisprudenziale sul tema in questione, intensificatosi con le predette sentenze, è stato anche evidenziato in un’ordinanza interlocutoria della Sezione 3a della Corte di Cassazione, mediante la quale il collegio, chiamato inter alia a decidere sulle condizioni necessarie per considerare legittimo il canone a scaletta, ha disposto di trasmettere gli atti al Presidente della medesima Sezione, affinché valuti la sussistenza dei requisiti per l’assegnazione del ricorso alla trattazione in pubblica udienza (Cass. 7198/2017).

In ragione di quanto precede, la questione della legittimità di clausole contrattuali, nelle locazioni per uso diverso da quello abitativo, che prevedano un canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto rimane ancora aperta e si auspica pertanto un nuovo intervento della Suprema Corte (eventualmente a Sezioni Unite) che sani definitivamente il contrasto.