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Fondi immobiliari, il prelievo cerca certezze

Pubblichiamo di seguito i contributi di Antonio Tomassini e Carlotta Benigni in materia di fondi immobiliari, pubblicati su Il Sole 24 Ore del 10 settembre 2018.

Il tema della soggettività giuridica dei fondi immobiliari è da sempre al centro del dibattito per i rilevanti risvolti in termini di tassazione delle operazioni poste in essere dai fondi stessi. Fino al 2016, la Cassazione e la giurisprudenza di merito aderivano all’indirizzo che prende le mosse dalla pronuncia Cass. n. 16605/2010, nella quale i giudici consideravano il fondo come mero patrimonio separato della SGR (società di gestione del risparmio) che lo gestisce, senza poter essere qualificato come autonomo soggetto di diritto. Il fondo veniva quindi considerato dai giudici come soggetto incapace di essere titolare di rapporti giuridici, con la conseguenza che nelle operazioni di acquisto di immobili nell’interesse del fondo questi avrebbero dovuto essere “intestati” formalmente alla SGR. Il punto è che gli effetti di tale qualificazione non si esauriscono qui ma conducono a risultati paradossali. Si pensi, ad esempio, al caso della semplice sostituzione della SGR, che dovrebbe essere interpretato, portando alle estreme conseguenze i principi espressi da Cass. 16605/2010, come un passaggio di proprietà dei beni immobili. Invero è lo stesso dettato normativo, ed in particolare l’art. 36, comma 4 del TUF, secondo cui ciascun fondo di investimento, o ciascun comparto dello stesso fondo, costituisce patrimonio autonomo, distinto da quello della SGR e dei partecipanti, nonché da ogni altro patrimonio gestito dalla medesima società, a deporre per la soggettività del fondo. Tale norma dispone infatti la piena autonomia patrimoniale del fondo, rispetto (i) ai quotisti e ai loro creditori, (ii) alla SGR e ai creditori di quest’ultima, e (iii) agli altri fondi gestiti dalla stessa SGR. Vi sono delle analogie con quanto accade per i trust, che non si qualificano come soggetti di diritto ma che possono essere titolari e intestatari di un proprio patrimonio, autonomo rispetto a quello del trustee e dei beneficiari.
L’autonomia patrimoniale del fondo è stata da ultimo affermata da Trib. Milano n. 7232/2016, nella quale i giudici riconoscono “autonomia patrimoniale – dunque capacità di essere titolare di diritti sostanziali e processuali – ai fondi comuni di investimento”, con la conseguenza che nel caso analizzato dal Tribunale “posto che il fondo comune d’investimento ha autonomia propria, in caso di sostituzione di una società di gestione del risparmio assoggettata a commissariamento con altra società di gestione, non si determina un trasferimento delle azioni incluse nel patrimonio del fondo stesso”.
Da ciò dovrebbe discendere che le operazioni immobiliari tra fondi diversi, pur se gestititi dalla medesima SGR, devono essere considerate come atti di trasferimento immobiliare soggetti alle ordinarie regole ai fini IVA e imposte indirette (con le agevolazioni applicabili). Inoltre la mera sostituzione della SGR che gestisce il fondo non comporta alcun fenomeno successorio nella titolarità dei beni del fondo e sconta l’imposta di registro in misura fissa di Euro 200. L’altro grande dibattito sui fondi immobiliari, che sono un istituto tanto utile quanto bisognoso di chiarezza, riguarda la natura della loro attività. Il Provvedimento di Banca d’Italia del 19 gennaio 2015 (che implementa la Direttiva europea n. 2011/61/CE e il TUF), prevede che i fondi non possano svolgere attività commerciali. Ragione per cui in caso di alberghi o centri commerciali, il fondo non può detenere direttamente le licenze amministrative per la gestione degli immobili, ma deve necessariamente costituire società veicolo. Vanno infatti considerate legittime le operazioni con le quali il fondo acquista la componente immobiliare mentre il ramo d’azienda viene acquistato dalla società veicolo, pur se il venditore è il medesimo. La riqualificazione di tali operazioni come acquisto di un unico ramo d’azienda contenente sia le licenze che l’immobile, con applicazione dell’imposta di registro proporzionale in luogo di quella fissa anche sull’immobile, significherebbe infatti ignorare i requisiti normativi che caratterizzano i fondi immobiliari.
La natura dell’attività è rilevante anche per i quesiti che ruotano attorno alle operazioni straordinarie che coinvolgono fondi immobiliari (si veda articolo a fianco).

Liquidazioni e operazioni straordinarie nei fondi

I fondi immobiliari hanno tipicamente una durata compresa tra gli 8 e i 15 anni, cui si può aggiungere un eventuale grace period che consente alla SGR di finalizzare il disinvestimento del patrimonio del fondo che spesso non è immediato. Proprio perché molti dei fondi istituiti negli anni 2000 (quando il mercato immobiliare era molto alto) stanno arrivando a scadenza in un periodo non (ancora) particolarmente favorevole alle dismissioni immobiliari, talune SGR propongono ai propri investitori di liquidare il fondo immobiliare mediante operazioni straordinarie volte a mantenere il valore del patrimonio (i.e. senza “svenderlo”). A tali fini è frequente il conferimento del patrimonio del fondo in una società (esistente o di nuova costituzione), ovvero l’assegnazione dei beni ai partecipanti o ancora la fusione o la scissione con un altro fondo che abbia una durata residua superiore. Volendo analizzare il trattamento fiscale ai fini delle imposte indirette delle operazioni in parola, non vi sono dubbi sull’applicabilità delle ordinarie imposte di registro, ipotecarie e catastali in caso di assegnazione dei beni ai quotisti o in caso di conferimento in società. Con riferimento alla fusione e alla scissione, invece, si dovrebbe ritenere che tali due operazioni siano da assoggettarsi a imposte indirette in misura fissa. L’art. 4 della Tariffa Parte I del Testo Unico del registro prevede che le fusioni e scissioni di enti commerciali siano da assoggettare ad imposta di registro in misura fissa. Da un punto di vista normativo-regolamentare (si veda articolo a fianco), i fondi non possono svolgere attività commerciale, e dunque si potrebbe ritenere che l’art. 4 non risulti applicabile al caso delle fusioni e scissioni tra fondi. Tuttavia, l’applicabilità dell’imposta fissa a tali operazioni non dovrebbe essere negata per almeno due ordini di ragioni. In primo luogo – almeno ai fini IVA – è ravvisabile una “quasi commercialità” dei fondi immobiliari, se è vero che le operazioni da essi svolte (come le locazioni o le cessioni) sono soggette ad IVA (“mutuando” la soggettività passiva IVA dalla SGR attribuitagli dal D.Lgs 351/2001). Inoltre, pur volendo negare la commercialità dei fondi anche solo ai fini IVA, le scissioni e fusioni tra fondi non possono essere considerate operazioni aventi contenuto patrimoniale da assoggettare ad imposta di registro con aliquota del 3% (art. 9 Tariffa Parte Prima) se è vero che queste, soprattutto dopo la riforma del diritto societario del 2003, sono concepite come mere vicende riorganizzative degli enti che vi partecipano, senza dunque efficacia traslativa o successoria. Ciò troverebbe conferma anche in una posizione dell’Agenzia delle Entrate (Ris. n. 25/2004), la quale ha affermato che simili operazioni (nel caso analizzato si trattava di una “fusione” tra fondi mobiliari) costituisce una mera riorganizzazione, nell’interesse dei quotisti, del patrimonio del fondo interessato, segnatamente “la fusione fra i fondi gestiti da un’unica SGR non costituisce, quindi, un’operazione intersoggettiva, ma un’operazione di natura riorganizzativa”. Come tali, non avendo contenuto patrimoniale, le operazioni di scissione e fusioni dovrebbero dunque in ogni caso scontare l’imposta di registro in misura fissa.