Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente

Commercio, piena libertà su orari e giorni d’apertura

In materia di liberalizzazioni delle attività commerciali la giurisprudenza è spesso chiamata a definire (e ribadire) i principi dell’ordinamento giuridico sulla completa rimozione dei vincoli e dei limiti all’apertura e all’esercizio delle attività commerciali.

La costanza con cui i giudici, amministrativi e costituzionale, sono chiamati a pronunciarsi su questa materia rende evidente che esiste nel nostro ordinamento ancora un certo grado di resistenza, da parte delle amministrazioni pubbliche e dei legislatori regionali, a una completa apertura al principio di libertà della concorrenza e delle scelte di mercato.

Da un lato, infatti, sono ancora frequenti dinieghi o limitazioni all’apertura di medie e grandi strutture di vendita e dall’altro, poi, i parlamenti regionali continuano a emanare leggi che introducono limitazioni alle modalità di esercizio delle attività economiche.

E’ il caso di cui si è occupata recentemente la Corte Costituzionale (sentenza n. 98 del 10 maggio 2017) che ha dichiarato incostituzionale – tra gli altri – l’articolo 29 della l.r. Friuli Venezia Giulia 5 dicembre 2005 n. 29 che stabiliva che “l’esercizio del commercio al dettaglio in sede fissa è svolto senza limiti relativamente alle giornate di apertura e chiusura, a eccezione dell’obbligo di chiusura nelle seguenti giornate festive: 1 gennaio, Pasqua, lunedì dell’Angelo, 25 aprile, 1 maggio, 2 giugno, 15 agosto, 1 novembre, 25 e 26 dicembre”.

Questa norma, quindi, imponeva la chiusura degli esercizi commerciali in alcuni giorni dell’anno, ponendosi evidentemente in contrasto con le previsioni nazionali che dispongono che le attività commerciali debbano svolte senza obblighi di chiusura domenicale e festiva (disposizione contenuta, in particolare, nella L. 248/2006, art. 3, co. 1, lett. d bis).

Le disposizioni nazionali

La sentenza della Corte offre lo spunto per una riflessione più generale sulle difficoltà di recepire i principi nazionali sull’argomento. Infatti, a fronte di chiare disposizioni nazionali e di costanti pronunce giurisprudenziali continuano a essere opposti limiti di varia natura alla completa attuazione del principio di liberalizzazione.

In particolare, queste limitazioni sono spesso contenute nella pianificazione territoriale: ciò accade quando i piani regolatori comunali, nella definizione delle destinazioni consentite ed insediabili nel in talune aree urbane, escludono l’inserimento in esse di medie o grandi strutture di vendita.

Più volte i giudici amministrativi hanno chiarito che i piani regolatori non possono limitare l’insediamento di attività commerciali. Se, poi, gli strumenti di pianificazione non sono stati aggiornati alla normativa sulla liberalizzazione e ancora contengono disposizioni in contrasto con essa, le relative previsioni devono essere considerate automaticamente abrogate (senza necessità di una dichiarazione ad hoc).

Al riguardo è famosa la sentenza del TAR Lombardia n. 2271 del 10 ottobre 2013 con cui i giudici hanno chiarito che “in assenza di una giustificazione ambientale e urbanistica l’esclusione delle medie strutture di superficie superiore a mq. 600 dall’ambito urbano consolidato 2 si risolve in una misura anti-concorrenziale che, di fatto, salvaguarda le imprese commerciali già presenti nella zona senza apportare alcun beneficio più generale per la collettività”. Nello stesso senso, più recentemente anche il TAR Puglia ha ribadito che le previsioni contenenti limitazioni ai principi di liberalizzazione della normativa nazionale, anche se contenute in atti di pianificazione e programmazione territoriale o temporale autoritativa con prevalente finalità economica o prevalente contenuto economico, devono ritenersi abrogate per incompatibilità con la normativa sopravvenuta in materia di liberalizzazione del mercato dei servizi (TAR Puglia, Lecce, n. 1641 del 31 ottobre 2016).

Quindi, alla luce di un quadro interpretativo così chiaro, sono poco comprensibili scelte legislative che continuano a ribadire o riproporre limitazioni sugli orari di apertura e chiusura, con obblighi di chiusura in giornate festive, trattandosi di limiti espunti dal nostro ordinamento già dal 2006.