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Dall’edificabilità al valore dell’area, iter a più fasi

Destinazione urbanistica, valore di mercato e determinazione della base imponibile tributaria sono concetti strettamente intrecciati tra loro. Infatti mentre un’area edificabile viene valutata – ai fini dell’IMU/ TASI – sulla base del suo valore di mercato, un lotto privo di capacità edificatoria (es. un’area agricola) sconterà l’IMU / TASI computata sul valore catastale. 

Ma quando un’area può essere considerata edificabile?

La domanda sorge perché spesso l’attribuzione di una determinata destinazione urbanistica è il frutto di un iter procedurale a più fasi (si pensi all’adozione e alla successiva approvazione di un piano urbanistico) e su più livelli (alla pianificazione generale si affianca spesso quella di attuazione).

Quindi, in quale di queste fasi e livelli, si cristallizza la destinazione edificatoria di un’area?

La Corte di Cassazione ritiene che il momento di attribuzione dell’edificabilità sorge fin dalla fase di avvio del procedimento di trasformazione urbanistica, non rilevando né se il piano regolatore generale (PRG) sia approvato definitivamente (basta quindi che sia adottato) né che questo attribuisca la concreta capacità di trasformazione del territorio. Proprio su questo aspetto si è soffermata la Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 2107 del 27 gennaio 2017.

Piano regolatore generale e pianificazione attuativa. Fin dalla legge urbanistica del 1942 (L. 1150/1942) al piano regolatore generale i comuni potevano affiancare piani particolareggiati che precisavano l’assetto urbano che doveva essere impresso a determinate aree del territorio comunale (altezze, aree per opere pubbliche, suddivisione in lotti ecc) proprio allo scopo di dare attuazione al PRG.

Su questo doppio binario si sono mossi recentemente alcuni legislatori regionali che, mantenendo il duplice livello di pianificazione, attribuiscono alla pianificazione generale valenza programmatica e strategica e ai piani attuativi la concreta disciplina per la trasformazione del territorio.

È il caso della L.R. Emilia Romagna n. 20/2000 (valutata dalla Cassazione 2107/2017) che attraverso l’istituzione dei Piani Strutturali Comunali (PSC) e dei Piani Operativi Comunali (POC) ha devoluto l’attribuzione di capacità edificatoria a quest’ultimo.

Secondo l’art. 28 della L.R. 20/2000, infatti, il PSC è lo strumento di pianificazione urbanistica generale predisposto dal Comune “per delineare le scelte strategiche di assetto e sviluppo” che “non attribuisce in nessun caso potestà edificatoria alle aree né conferisce alle stesse una potenzialità edificatoria subordinata all’approvazione del POC”. Il dettato normativo è, quindi, chiaro: il PSC non conferisce podestà edificatoria alle aree.

Inoltre, “le indicazioni del PSC relative alla puntuale localizzazione delle nuove previsioni insediative, agli indici di edificabilità, alle modalità di intervento, agli usi e ai parametri urbanistici ed edilizi, costituiscono riferimenti di massima circa l’assetto insediativo e infrastrutturale del territorio comunale, la cui puntuale definizione e specificazione è operata dal piano operativo comunale, senza che ciò comporti modificazione del PSC“.

È quindi chiaramente evidenziata la valenza solo strategica del PSC. In altri termini: fino all’approvazione del POC i proprietari di un’area non potranno certo richiedere e ottenere il titolo edilizio. Quindi, si vede, l’effettivo diritto di edificare si matura compiutamente – a livello urbanistico – edilizio – quando diventa efficace il piano attuativo.

L’esempio dell’Emilia Romagna non è un caso isolato. Anche la L.R. Lombardia 12/2005 introduce nel sistema pianificatorio territoriale uno strumento di valenza generale a cui affianca una pianificazione di attuazione. È il caso del Documento di Piano che mantiene una valenza strategica in quanto individua gli obiettivi di sviluppo per la politica territoriale. La caratteristica programmatoria del Documento di Piano è anche confermata dall’art. 8, co. 3 della L.R. 12/2005 secondo cui esso “non contiene previsioni che producano effetti diretti sul regime giuridico dei suoli“. Al Documento di Piano, poi, è affidato il compito di individuare gli ambiti di trasformazione, ossia le aree urbane che necessitano di una attenzione particolare per il loro sviluppo.

In questi ambiti, e qui si ripete la dicotomia tra pianificazione strategica ed attuativa, la disciplina di uso del suolo è affidata, appunto, a piani attuativi.

Questa ricostruzione potrebbe portare alla conclusione che solo con l’approvazione del piano attuativo l’area acquisti effettivamente un valore fabbricabile. E invece, la Cassazione ribadisce, anche con la pronuncia sopra ricordata, che il solo inserimento di un’area nel PSC vale ad attribuire agli stessi una valenza edificatoria non essendo quindi necessario che venga adottato il piano operativo comunale.

Ma qual è il valore di mercato? La situazione appena descritta porta però a fare alcune valutazioni. È indubbio che la sola qualificazione di un’area come edificabile ne fa sorgere una valutazione economica certamente più alta rispetto a destinazioni come quella agricola cui non è connessa capacità edificatoria ma è altrettanto vero che, fino all’ottenimento del titolo edilizio, la concreta possibilità di trasformazione del territorio rimane quanto meno a livello astratto.

Molti sono i passaggi che possono mutare il modo in cui si esprimerà il diritto edificatorio attribuito dal piano generale (o in Lombardia, dal Documento di Piano). Si pensi ad esempio alla necessità di seguire le procedure di valutazione ambientale (che a seconda dei progetti possono essere sia la VAS – valutazione ambientale strategica – che la VIA – valutazione di impatto ambientale), le procedure volte all’ottenimento dei permessi cd. endoprocedimentali (si pensi ad un’area vincolata) ecc.

Ne consegue che al termine del procedimento amministrativo per la approvazione del POC (o in genere del piano attuativo) e per il rilascio del permesso di costruire, la capacità edificatoria può concretamente cambiare in termini di cubatura assentita, di progetto realizzabile, di costi per la sua realizzazione ecc.

Queste valutazioni incidono necessariamente, quindi, sulla determinazione del valore di mercato.

Spingendo la valutazione ancora più in là, si potrebbe sostenere che fino all’approvazione della pianificazione attuativa il valore da attribuire alle aree non dovrebbe essere il medesimo di un’area per cui il procedimento amministrativo si è concluso ma, ragioni di equità, porterebbero a sostenere che il valore dovrebbe quanto meno scontare i costi necessari per la conclusione della procedura e l’alea che la stessa si concluda secondo un determinato progetto, giustificando una riduzione rilevantissima del valore delle “aree in attesa” fino a valori prossimi a quelli agricoli.