Novità normative e orientamenti giurisprudenziali in urbanistica, edilizia e ambiente

L’assenza di certificato di agibilità non significa assenza di agibilità

di Rosemarie Serrato e Luca Masotto

L’assenza di certificato di agibilità non significa assenza di agibilità.

Non è un gioco di parole.
Il TAR Veneto (sentenza n. 1299 del 25 Novembre 2016) ha chiarito l’opportunità di “distinguere tra (i) la mancanza dell’agibilità e (ii) la mancanza del certificato di agibilità”. Sono carenze che operano su piani diversi: sostanziale l’uno, e formale l’altro.

Il caso –  Un cittadino ottiene – nel 2001 – un titolo abilitativo per realizzare un immobile.
La facoltà edificatoria è correlata, in base agli strumenti urbanistici, all’obbligo di restaurare una costruzione antica (nella specie, una torre). In particolare, il recupero dell’edificio antico è indicato quale presupposto per il rilascio del certificato di agibilità della nuova costruzione.
L’immobile viene ultimato e viene quindi richiesto al Comune il rilascio del certificato di agibilità.
Il recupero dell’edificio antico, però, non è avvenuto e il Comune non rilascia il certificato di agibilità.
L’inadempimento dell’obbligo di recuperare l’edificio antico si protrae nel tempo. Così, nel 2010, il Comune ordina la rimozione degli allacciamenti e addirittura lo sgombero dei locali per la mancanza del certificato di agibilità.
In sostanza, secondo il Comune, se non c’è certificato di agibilità, l’immobile è inagibile.
L’ordinanza viene impugnata con successo. Il TAR Veneto non condivide, infatti, il sillogismo del Comune.

La normativa rilevante –  La normativa sull’agibilità è cambiata di recente.
Il certificato di agibilità – di fatto – non esiste più.
Il d.lgs. 222/2016 (il cd. Decreto SCIA 2) ha modificato il DPR 380/2001 (TU Edilizia) stabilendo che “la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato e la sua agibilità sono attestati mediante segnalazione certificata” (articolo 24, comma 1, DPR 380/2001).
L’agibilità viene oggi attestata tramite SCIA.
Tuttavia, all’epoca dei fatti oggetto della sentenza del TAR Veneto qui in esame, la norma disponeva la necessità di richiedere il certificato di agibilità (salva formazione del silenzio assenso).
E’ utile ricordare che l’articolo 26 del DPR 380/2001 stabilisce che “la presentazione della segnalazione certificata di agibilità non impedisce l’esercizio del potere di dichiarazione di inagibilità di un edificio o di parte di esso ai sensi dell’articolo 222 del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265“.
In altre parole, anche in presenza di un certificato di agibilità (oggi di una SCIA) è possibile che – in base alle concrete condizioni di un immobile – ne venga dichiarata l’inagibilità.
Per il TAR Veneto il principio opera anche in senso contrario: a dire la mancanza del certificato di agibilità non equivale a inagibilità.
La decisione del TAR Veneto –  Il TAR afferma che “nel caso di occupazione dell’immobile legittimamente costruito in conformità a quanto previsto dal piano regolatore ciò (il suddetto obbligo inadempiuto di recupero degli antichi edifici, ndr) non giustifica di per sé l’adozione di un’ordinanza di sgombero in presenza dei presupposti sostanziali di agibilità“.
L’ordinanza di sgombero non consegue quindi necessariamente e automaticamente all’accertamento della mancanza del certificato di agibilità. Sostiene il TAR Veneto che “l’ordinanza di sgombero si giustifica senz’altro, ai sensi dell’art. 222, del RD 27 luglio 1934, n. 1265, per la mancanza dei requisiti sostanziali prescritti dalle norme tecniche in materia di sicurezza, salubrità ed igiene, e prescinde dalla presenza o meno del certificato, che ha la funzione solo di attestare il possesso di tali requisiti, ma che, anche se presente, non è ostativo all’adozione di un’ordinanza di sgombero come chiarito dall’art. 26 del DPR 6 giugno 2001, n. 380“.
L’orientamento non è nuovo, anche se non mancano decisioni in senso contrario (si veda, ad esempio TAR Roma, sez. II, n. 1074/2011 in cui si afferma che il requisito formale della licenza di agibilità è un presupposto indispensabile perché un locale possa essere frequentato, “a prescindere dall’effettiva salubrità, igienicità ed incolumità del locale stesso”).
Secondo il TAR Veneto, laddove non vi sia pericolo per la salute e l’incolumità della collettività – ossia i valori alla luce dei quali vanno interpretate le norme che regolano l’istituto della agibilità – è l’interesse privato ad uscire rafforzato dal bilanciamento. E quindi nel caso di ipotesi regolarizzabili sul piano meramente formale un’ordinanza di sgombero risulta non giustificata.
Inoltre, osserva il TAR Veneto, l’ordinanza di sgombero non può essere utilizzata dalla Pubblica Amministrazione come una impropria “sanzione indiretta di carattere afflittivo volta a perseguire non la mancanza dei requisiti sostanziali, ma l’inadempimento di un obbligo“.
Rimane da risolvere la questione degli strumenti in mano al Comune per ottenere l’adempimento degli obblighi legati al titolo abilitativo, che vanno rinvenuti in strumenti più adeguati (tra cui, la stipula di una convenzione che regoli il rapporto tra il titolare dello ius edificandi e il Comune con conseguente rilascio di idonee garanzie): “deve infatti essere considerato che allo stato attuale non vi è una norma che disciplini espressamente le conseguenze della mancanza, sul piano formale, del certificato di agibilità, posto che l’art. 221, secondo comma, del regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, che puniva con una sanzione pecuniaria il mancato possesso del certificato, è stato abrogato a decorrere dal 30 giugno 2003 (…) senza essere sostituito da una norma dello stesso tenore (…), ed anche il primo comma, il quale dispone che gli edifici o le parti di essi di nuova costruzione non possono essere abitati senza la previa autorizzazione dell’Autorità comunale, a giudizio del Collegio, deve essere interpretato tenendo conto della finalità che gli è propria di tutela, in senso sostanziale, della salute e dell’incolumità della collettività“.